domenica 31 luglio 2011

"Il Piccolo Principe"


Ho sempre sostenuto che uno stesso libro andrebbe letto almeno due volte nelle varie fasi della vita (giovinezza e maturità) per avere una completa, chiara e diversa chiave di lettura. Mi è capitato con diversi libri e mi è capitato con questo libro che vi sto presentando e che molti di voi sicuramente avranno letto. "Il piccolo principe" è un libro che generalmente si legge quando si è bambini e ci trasporta in un mondo fantastico dove la fantasia può spaziare liberamente, poi diventiamo grandi e dobbiamo occuparci e leggere cose "PIU' IMPORTANTI". A me è capitato, quasi a 38 anni di cimentarmi per la prima volta nella lettura di questo libro. Ne avevo sentito parlare spessissimo ma non avevo mai avuto occasione (o voglia) di leggerlo, anche quando incontravo la copertina nelle librerie ero troppo preso nel ricercare qualche volume "più serio e da grandi".
Leggere il libro alla mia età ed essendo padre di due bimbi, è stato bellissimo e commovente, mi ha fatto fare un balzo indietro nel tempo riempiendomi di tenerezza la stessa che trasmette "il piccolo principe" nella storia che con la sua ingenuità, semplicità ed allo stesso tempo profondità, trasmetterà a sua volta al protagonista adulto del libro. Noi adulti siamo presi sempre dal quotidiano, rincorriamo tutto ed alla fine certe volte non sappiamo cosa, siamo attratti dal superfluo che spesso dimentichiamo l'essenziale, come dice l'autore attraverso il piccolo principe "l'essenziale è invisibile agli occhi".

Consiglio la lettura a chi come me non lo aveva fatto prima, e ne consiglio una nuova lettura a chi lo ha già letto da bambino/a per trovare una nuova chiave di lettura e magari chissà riacquisire un po' di ingenuità del "piccolo principe". Buona lettura e buona estate.


TRAMA (tratto da Wikipedia) - Un pilota di aereo, precipitato nel deserto, incontra un bambino semplice, che per prima cosa gli chiede "Mi disegni una pecora?". Allibito, il pilota, disperato per la situazione in cui si trovano, non si capacita di questa ed altre richieste strane del bambino. Questi, poco per volta, dice di essere il principe di un lontano asteroide, sul quale abita solo lui e una piccola rosa, molto vanitosa, che lui cura e ama.
Il piccolo principe racconta che, nel suo vagare per lo spazio, ha conosciuto diversi personaggi strani, ciascuno dei quali gli ha insegnato qualche cosa. La cura per la sua rosa lo ha fatto soffrire molto, perché spesso questa si è mostrata scorbutica o molto pretenziosa. Ora però che è lontano, il Piccolo Principe scopre piano piano che le ha voluto bene, e che anche lei gliene voleva. Purtroppo però non si capivano. Il piccolo principe, proveniente dall'asteroide B612, aveva bisogno della pecora per farle divorare gli arbusti di baobab prima che crescessero e soffocassero il suo pianeta.
E da qui inizia il racconto dei pianeti che il piccolo principe ha visitato, con gli strani personaggi che li abitano. Da ciascuno di essi il piccolo principe se ne va con l'idea che i grandi siano ben strani, e con un piccolo insegnamento per sé:
    • un pigro, che ha trascurato i baobab del proprio pianeta da piccoli, ha scoperto che se si lasciano crescere i baobab, questi soffocano tutto quello che c'è;
    • il signor Cremisi, su un altro pianeta, ha passato la vita a contare le stelle, allo scopo di diventare più ricco e comprare altre stelle, senza amare nessuno, ripetendo come un fungo: "Io sono una persona seria";
    • un vecchio re solitario, che si crede onnipotente, cerca di farlo suo ministro, dando ordini solo in modo da essere sempre ascoltato;
    • un vanitoso chiede solo di essere ammirato e applaudito, senza ragione;
    • un ubriacone beve per dimenticare la vergogna di bere;
    • un lampionaio deve accendere e spegnere il lampione del suo pianeta ogni minuto, perché il pianeta gira a quella velocità; per quest'uomo il piccolo principe prova un po' di ammirazione perché è l'unico che non pensa solo a se stesso;
    • un geografo sta seduto alla sua scrivania ma non ha idea di come sia fatto il suo pianeta, perché non dispone di esploratori da mandare ad analizzare il terreno e riportare i dati.
Questi consiglia al piccolo principe di visitare la Terra, sulla quale finalmente il nostro protagonista giunge, con grande stupore per le dimensioni e per la quantità di persone. Il suo primo incontro, nel deserto, avviene con un serpente, simbolo della morte, che però è vista in senso positivo, come l'inizio di un viaggio. Proseguendo con il suo viaggio, egli incontra un piccolo fiore, delle alte cime, ed infine un giardino pieno di rose fiorite. La sua rosa aveva raccontato al piccolo principe di essere l'unica di quella specie in tutto l'universo, e quindi egli rimane molto deluso da questa scoperta. Ma non fa in tempo a pensarci molto, che compare un piccolo volpe, che gli chiede di essere addomesticato e di essere suo amico. La volpe parla a lungo con il principe dell'amicizia, della sua rosa, che in realtà è unica al mondo per le cure e l'amore che lui le ha prodigato; poi, alla fine del loro incontro, gli rivela il suo segreto: "Non si vede bene che col cuore; l'essenziale è invisibile agli occhi".
Il principe incontra poi un indaffarato controllore, che non sa giustificare la ragione per cui la gente va avanti e indietro sempre di fretta; l'ultimo interessante incontro è con un venditore di pillole che calmano la sete, facendo risparmiare un sacco di tempo. Dopo aver ascoltato tutto il racconto del piccolo principe, il pilota non è riuscito a riparare l'aereo e ha terminato la scorta d'acqua. Ecco allora la proposta assurda e ingenua del bambino: "Anch'io ho sete… cerchiamo un pozzo… ".
Dopo una giornata di cammino, i due si fermano stanchi su una duna ad ammirare il deserto nella notte, bellissimo nella sua maestosità, ma bellissimo soprattutto perché "ciò che abbellisce il deserto", disse il piccolo principe, " è che nasconde un pozzo in qualche luogo…". Di qualunque cosa si tratti, quello che fa la sua bellezza è invisibile. Con in braccio il bambino addormentato, il pilota cammina tutta la notte, e finalmente all'alba scopre il pozzo. "Un po' d'acqua può far bene anche al cuore" commenta il piccolo principe, e bevono entrambi con gioia. Il pilota torna al lavoro al suo apparecchio, e la sera seguente ritrova il piccolo principe ad attenderlo su un muretto accanto al pozzo, mentre parla con il serpente che aveva incontrato. Il piccolo principe tornava lì, dopo un anno dall'arrivo sulla terra, per tornare al suo pianeta. Il serpente, con il suo morso, era il mezzo per potersi liberare del corpo, troppo pesante per arrivare così lontano. E così, nella notte, in una scena struggente, il piccolo principe fa il grande passo per ritornare dalla sua rosa. Il suo corpo cade a terra, esanime, ma "sarà come una vecchia scorza abbandonata". Ancora una volta, "l'essenziale è invisibile agli occhi".
E il piccolo principe così, forse, ritorna dalla sua rosa, con la pecora, la scatola e la museruola. E lascia in regalo al pilota, e a tutti noi, il suo sorriso, il suo messaggio, e un mare di stelle da guardare, sapendo che lassù, da qualche parte, un piccolo principe sta prendendosi cura della sua rosa.

L'AUTORE E CURIOSITA' - Il piccolo principe (Le Petit Prince) è l'opera più conosciuta di Antoine de Saint-Exupéry. Pubblicato il 6 aprile 1943 da Reynald & Hitchcock in inglese, e qualche giorno dopo in francese, è un racconto molto poetico che, nella forma di un'opera letteraria per ragazzi, affronta temi come il senso della vita e il significato dell'amore e dell'amicizia. È fra le opere letterarie più celebri del XX secolo e tra le più vendute della storia: è stato tradotto in più di 220 lingue e dialetti e stampato in oltre 134 milioni di copie in tutto il mondo.
In un certo senso, costituisce una sorta di educazione sentimentale. L'opera, sia nella sua versione originaria che nelle varie traduzioni in decine di lingue, è illustrata da una decina di acquerelli dello stesso Saint-Exupéry, disegni[1] semplici e un po' naïf che sono celebri quanto il racconto.
Gli stessi disegni sono stati utilizzati per creare le copertine del libro. Ad oggi ne sono state stampate ben 657.789 differenti[senza fonte]rielaborazioni.
Il racconto è dedicato al bambino che fu Léon Werth, amico dell'autore, il quale qualche mese più tardi scrisse d'essersi pentito e che avrebbe dovuto dedicarlo alla moglie Consuelo Suncín (1902-1979). L'autore lo scrisse negli Stati Uniti, mentre abitava nella "Bevin House" di Asharoken, Long Island, NY.

domenica 24 luglio 2011

McJob di Filippo Di Nardo


"La fortuna è un dividendo del sudore, più si suda, più se ne ha" - RAY KROC

Quando leggiamo libri che parlano di aziende, sorge spontaneo il dubbio se il libro in questione sia stato commissionato dall'azienda stessa per farsi pubblicità. La stessa domanda me la sono posta appena mi sono dedicato alla lettura del libro "McJob" di Filippo Di Nardo; fonti autorevoli ed altamente attendibili mi hanno subito tolto il dubbio. McDonald's si è limitata a fornire informazioni all'autore che sono state verificate sul posto. McDonald's ha sempre suscitato nel mondo vari commenti: da simbolo della globalizzazione degli anni ottanta (con il senno di poi potremmo definirla come azienda all'avanguardia nello sviluppo visto che poi TUTTE le aziende si sono accodate), simbolo di un "lavoro precario e poco professionalizzante" (affermazione come vedremo falsa e coniata da chi non conosce la realtà).
Proprio su questa ultima affermazione/argomento ruota tutto il libro.

Prendo come spunto di riflessione per spiegare meglio il perchè di questo libro parte dell'introduzione al libro "McJob" scritte dall'autore Filippo Di Nardo:
"...Un lavoro di basso prestigio, poco stimolante, temporaneo, senza benefici di alcun tipo e dalle poche possibilità di promozione". Questa è una delle tante definizioni spregiative attribuite al neologismo McJob. Andando avanti di questo passo la parola McJob apparirà nei dizionari di tutto il mondo quale espressione aggiornata del turpiloquio senza confini. Insomma, una parolaccia globale. Ma è davvero cosi? Il lavoro da McDonald's, e il neologismo McJob con il suo carico pesante di pregiudizi e stereotipi, diffamatorio per certi versi, riflette davvero la realtà generale del lavoro da McDonald's oppure siamo di fronte a una mistificazione su scala globale? Questo libro sostiene la tesi opposta a quella mistificatoria. Il lavoro da McDonald's non solo non è l'esempio del moderno sfruttamento dei lavoratori del 21esimo secolo ma, al contrario, è un modello positivo a cui guardare, per molti versi, con ammirazione. E' necessario ristabilire la realtà delle cose, a partire proprio dalla definizione McJob, la cui "etimologia" è indicativa del suo reale significato. Il termine risale al 1981, coniato proprio da McDonald's che chiamò così un programma aziendale di "diversity management" negli Stati Uniti, finalizzato al sostegno di persone fisicamente e mentalmente disabili attraverso lo sviluppo delle capacità e dell'autostima utili al successo nell'ambiente di lavoro dei ristoranti McDonald's. Il programma McJobs dell'81 si svolse coinvolgendo persone contattate tramite l'Agenzia per la riabilitazione vocazionale statale e attraverso partnership con agenzie e scuole locali. L'ambiente di lavoro in cui le persone coinvolte nel programma avrebbero lavorato è stato preparato adeguatamente coinvolgendo tutto lo staff dei ristoranti, dai crew ai manager fino ai supervisori dell'area, in specifici percorsi di formazione in Sensibilità. Questo seminario formativo includeva dei giochi di ruolo utili a comprendere come le persone disabili abbiano gli stessi desideri e bisogni di chiunque altro. Quindi McJob era il nome di uno specifico programma McDonald's per un efficace coinvolgimento lavorativo dei propri dipendenti disabili.
Forse è arrivato il tempo di liberare la parola McJob dal significato negativo impropriamente attribuitole e di riportarla alle origini, soprattutto al suo naturale significato, cioè espressione di una realtà lavorativa tutt'altro che simbolo del moderno sfruttamento.
Questo libro è il frutto di una conversione rispetto a una convinzione insediatasi nella mia testa senza sapere bene come e perchè. Una conversione che non appartiene alle categorie della politica, della religione e dello spirito, sia chiaro. L'ambito di questo cambiamento d'idea è circoscritto al giudizio su un'azienda che è diventata un simbolo: McDonald's appunto. Un'azienda che va oltre se stessa ed esprime una cultura, evoca un mondo, anticipa la modernità. Appartenevo, fino a un pò di tempo fa, alla categoria di coloro che vedono (nel mio caso il verbo va coniugato al passato) nella McDonald's il simbolo stesso, tra le altre cose, della precarietà lavorativa che la globalizzazione ha esportato in tutto il mondo. Mi ero sbagliato. Con questo libro sostengo che il modello di lavoro di McDonald's debba essere preso ad esempio. Un paradigma positivo e da emulare come emblema di una moderna organizzazione del lavoro, ispirata alla meritocrazia, alla stabilità, alla crescita professionale, alle pari opportunità e ad una sana flessibilità. Nella mia attività di giornalista mi sono imbattuto nel 2008 nei numeri e nei meandri veri della condizione e dell'organizzazione del lavoro dell'azienda dell'Illinois nel Belpaese e ho scoperto, non senza stupore, un'altra verità. L'unica verità, probabilmente.
Possibile aver preso un simile abbaglio? Aver pensato e, in un caso, scritto il contrario, fino a prima? Sì, possibile. Questo è il risultato della nostra società fondata su una comunicazione disinformata. Siamo continuamente bombardati da informazioni, messaggi, notizie e non abbiamo il tempo materiale e , spesso, la voglia o la possibilità di verificarle tutte. Nemmeno alcune a volte. Siamo spesso soli di fronte a un'informazione bulimica e sovrabbondante. E in questo limbo comunicativo s'inseriscono i disinformatori in buona fede, ma anche i tanti in cattiva fede e ideologizzati, e quelli di professione che in modo a volte consapevole e a volte no, riescono a imporci un messaggio, un giudizio o un valore. Se poi questo corrisponda o meno alla realtà è tutt'altra storia. Se lo dice la televisione o lo si trova in rete allora è vero e tanto basta. E, invece, il più delle volte non è così. Il giudizio, meglio, il pregiudizio sul lavoro da McDonald's è il risultato di questa perversione mediatica senza confini. Per comprendere il mio "voltafaccia" e porvi nella stessa situazione quando ho constatato la realtà, pongo il lettore di fronte ai dati: prenderemo a riferimento alcuni parametri fondamentali che si potrebbero utilizzare per valutare le condizioni di lavoro e la cultura aziendale di qualsiasi impresa..." Buona lettura.

Il libro è diviso in 4 sezioni:
1) l'organizzazione del McLavoro (il mondo McDonald's, il McLavoro, la McFormazione, come farsi assumere da McDonald's)
2) una tipica giornata di lavoro da McDonald's
3) storie di successo in McDonald's made in Italy (alcuni dipendenti raccontano la loro storia)
4) la straordinaria vita del Fondatore di McDonald's, Ray Kroc.

Da"addetto ai lavori", devo dire, che il libro è scritto veramente bene, con obiettività, descrivendo in modo preciso tutti i vari aspetti del mondo lavorativo di McDonald's. Mi è molto piaciuta la sezione dedicata alle storie dei dipendenti McDonald's. Nella mia esperienza professionale ho ed ho avuto la fortuna di conoscere tante persone ognuna di esse con la propria McStoria. Storie di lavoratori come tanti che con il loro McJob contribuiscono alla crescita dell'azienda e soprattutto al sostentamento delle proprie famiglie: ci sono ragazzi/e di 16/18 anni che per la prima volta si affacciano al mondo lavorativo, giovani che con il loro stipendio contribuiscono a mantenere le proprie famiglie che stanno attraversando momenti di difficoltà anche a causa di questa crisi, mamme che si dividono tra l'impegno del lavoro e della famiglia, e tantissime altre persone che con la loro presenza, la loro quotidianità mi arricchiscono sempre più rendendomi fiero di far parte di questa comunità di McJob.
Il libro è stato molto stimolante e mi è venuta voglia di condividere con voi la mia personale McStory...ma questa è un'altra storia...alla prossima puntata!

domenica 10 luglio 2011

I vent'anni del "Giornale" di Montanelli


Da diversi anni ormai mi piace condividere letture, film che mi colpiscono maggiormente. Così come mi piace suggerire, mi piace allo stesso modo essere consigliato nella lettura soprattutto su generi che solitamente ignoro, ma che si rivelano spesso molto interessanti. Qualche mese fa, l'amico e collega Massimiliano C., conoscendomi, mi ha consigliato la lettura di questo libro "I vent'anni del Giornale di Montanelli". Per alcuni mesi il volume è rimasto in sospeso nella mia libreria in quanto, pur interessandomi, non era scattata in me "la scintilla" della curiosità...Un mese fa circa, ho ascoltato casualmente un'intervista a Marco Travaglio (che seguo spesso nelle sue riflessioni su Annozero e sul suo blog), che pensavo essere un uomo di sinistra. Durante l'intervista, mi sono rivisto molto in lui e nei suoi pensieri. Egli non è di sinistra, come tiene a precisare, si definisce "antiberlusconiano" ed appartenente ad una destra liberale che ormai non esiste più. Durante l'intervista parla dei suoi esordi giornalistici proprio nel "Giornale" di Montanelli e di quanto sia stato attratto dal pensiero Montanelliano.
...Ecoo "la scintilla" che mi mancava...Mi sono subito ricordato del libro che mi aveva prestato l'amico Massimiliano e con molta curiosità ed interesse mi sono cimentato nella lettura.
Il libro è stato molto interessante per molti aspetti: obiettivo nei vari racconti nonostante sia stato scritto da più mani lasciando appunto la libertà di pensiero agli autori, interessante perchè racconta di un'Italia poco conosciuta o dimenticata, ed anche un valido libro della nostra storia. Il libro è anche molto attuale in quanto parla della scalata di Berlusconi sotto vari aspetti: dall'editoria con l'entrata nel "Giornale", alla creazione delle reti televisive, fino alla sua "discesa in campo" nella politica nel 1994. Nel 1994 appunto, Montanelli lascia il "Giornale" che aveva fondato perchè non condivideva la scelta politica del suo editore. Tra queste persone che lasciano il "Giornale" per seguire Montanelli, c'è appunto Marco Travaglio.
Ne consiglio la lettura a tutti gli amanti di storia, di giornalismo, con un pensiero liberale, propositivo e costruttivo. Buona lettura!

IL LIBRO (I vent'anni del Giornale di Montanelli - casa editrice Rizzoli) - il 25 giugno 1974 usciva, in tutte le edicole, un nuovo quotidiano "il Giornale", direttore Indro Montanelli. Era una scommessa di un gruppo di giornalisti prestigiosi e coraggiosi che avevano abbandonato il "Corriere della Sera" non condividendone la linea politica, allora appiattita sul dilagante conformismo di sinistra, "il Giornale" uscì tra lo scherno (sarebbe stato costretto a chiudere nel volgere di pochi mesi), le denigrazioni (si favoleggiava di finanziamenti occulti delle forze della reazione), le calunnie (giornalisti comprati e pagati a peso d'oro), la violenza (le sede in cui veniva stampato era spesso presidiata dagli exparlamentari) e gli insulti (il più ricorrente era quello di "fascista"). Per i nuovi benpensanti "il Giornale" era una voce fastidiosa, assillante, nemica che si ostinava a uscire dal coro affermando verità scomode. Si tentò di farla tacere cercando di strangolarla economicamente e, addirittura, con il piombo delle pallottole, ma Montanelli ed i suoi uomini non mollarono e continuarono a combattere la loro testarda battaglia in difesa della libertà e della democrazia, sostenuti dall'appoggio e dal consenso di tutti quei lettori che credettero a parole semplici e chiare scritte ogni giorno con il coraggio di chi sa di stare dalla parte del diritto e della ragione. Questo libro, opera di due protagonisti di quella battaglia - Mario Cervi e Gian Galeazzo Biazzi Vergani -, racconta la storia del "Giornale" dalla sua prima uscita alle dimissioni di Indro Montanelli dalla sua carica di direttore per divergenze con la proprietà il 12 gennaio 1994. Quasi vent'anni di storia di uno dei più importanti quotidiani italiani d'opinione del nostro secolo ripercorsi attraverso la ricostruzione di Cervi (che ha seguito Montanelli nella nuova sfida della "Voce"), le pagine del diario di Biazzi Vergani (che è rimasto invece al "Giornale" in qualità di presidente del consiglio d'amministrazione) e le parole dello stesso Montanelli raccolte in una lunga intervista da cervi. La storia di un'avventura umana e giornalistica, etica e morale condotta da un uomo, dai suoi collaboratori e da un quotidiano che seppero guadagnarsi sul campo la stima, il rispetto anche degli avversari, difendendo i valori della libertà quando più erano in pericolo; un quotidiano che i lettori talmente identificavano con il suo fondatore e direttore, che quando lo acquistavano spesso chiedevano all'edicolante: "Mi dia il giornale di Montanelli".