lunedì 27 febbraio 2012

"Le passioni" di Bill Strickland


"Non si può resistere alle passioni. Se consideriamo con attenzione la nostra vita, le cose per cui proviamo passione non ci lasciano mai soli: si tratta delle idee, delle speranze e delle possibilità intorno alle quali la nostra mente gravita per natura, quelle cose cui dedichiamo tempo e attenzione per nessun'altra ragione se non perchè farle ci fa sentire bene".
(BILL STRICKLAND autore di "Make the Impossible Possible")

domenica 26 febbraio 2012

Non accontentatevi - di Steve Jobs


"Sono convinto che l'unica cosa che mi ha fatto andare avanti sia stato l'amore per ciò che facevo. Dovete trovare quello che amate.
Questo vale sia per il lavoro sia per gli affetti. Il lavoro riempirà una buona parte della della vostra vita, e l'unico modo per essere realmente soddisfatti è fare quello che riterrete essere un ottimo lavoro. E l'unico modo per fare un ottimo lavoro è amare quello che fate. Se ancora non lo avete trovato, continuate a cercare. Non accontentatevi. Come succede sempre quando c'è di mezzo il cuore, sono sicuro che quando lo troverete lo capirete. E, come in tutte le grandi storie d'amore, con il passare degli anni andrà sempre meglio. perciò, continuate a cercare finchè non lo avrete trovato. Non accontentatevi."

Steve Jobs - discorso laureati di Stanford 2005

tratto da "Pensare come Steve Jobs" di Carmine Gallo

Mary Poppins


"Non giudicare mai le cose dal loro aspetto, nemmeno una valigia; io non lo faccio mai"
(Mary Poppins)

No, non è facile...


"No, non è facile. Non lo è mai. Se così non fosse sarebbe tutto più semplice: niente dolore,niente delusione, niente solitudine. No, nulla di tutto questo è possibile, perché niente di ciò che realmente conta può essere facile. La gioia nasce dal sacrificio, dalle ginocchia sbucciate, dai cuori infranti, perché ciò che ci è stato inculcato da bambini non può essere vero: non ci sono favole, non ci sono eroi o grandi imprese. C'è la determinazione di persone semplici che non si arrendono mai!! (Fabio Volo)

mercoledì 22 febbraio 2012

Innovazione & Invenzione


tratto da "Pensare come Steve Jobs" di Carmine Gallo

"...Innovazione e invenzione vengono spesso confuse ma, pur essendo complementari, sono concetti differenti. L'atto di inventare qualcosa ha a che fare con la progettazione, la creazione e la realizzazione di nuovi prodotti o processi; l'innovazione nasce invece da idee creative che alla fine si traducono in invenzioni, servizi, processi e sistemi. Non tutti possono essere inventori, ma ciascuno di noi può diventare un innovatore. Sei un piccolo proprietario d'azienda che ha avuto un idea su come trasformare i visitatori in clienti? Allora sei un innovatore. Sei un manager che ha escogitato un nuovo modo per motivare i suoi dipendenti? Sei un innovatore. Sei un imprenditore che si è reinventato una carriera dopo aver perso l'ennesimo lavoro? Sei un innovatore. Sei una mamma a tempo pieno che ha scoperto un modo per dare nuova vita alla scuola pubblica del suo quartiere? Sei un'innovatrice.
Innovare è qualcosa che la gente comune fa ogni giorno per vivere vite straordinarie..."

"Ciò che distingue un leader da un seguace è la capacità di innovare" (Steve Jobs)

martedì 21 febbraio 2012

"RICOMINCIARE" di Marco Confortola



Un bicchiere, lo stesso bicchiere per alcuni può essere mezzo pieno, per altri mezzo vuoto; entrambi hanno ragione, nel senso che ciascuno di noi ha un modo diverso di vedere le cose, e per usare un termine a me caro "la mappa non è il territorio".
Questo è il primo pensiero che mi è venuto in mente una volta terminata la lettura del libro (e conosciuta la storia navigando nel web) di Marco Confortola "RICOMINCIARE".
E' il primo libro sull'alpinismo che ho letto, nonostante sono un appassionato di montagna come l'amico Massimo B. che me lo ha consigliato con grande entusiasmo.
Confrontandomi con alcuni amici Alpinisti (in questi giorni) e quindi molto tecnici e conoscitori della materia, delle dinamiche, delle varie tecniche e di tutte le vicende legate al mondo alpinistico, mi hanno esposto il loro punto di vista e mosso alcune critiche sulla disavventura che ha colpito Confortola e la sua infelice spedizione sul K2. Mi hanno aiutato a vedere le cose in modo differente aiutandomi a capire alcune dinamiche che fino ad oggi ignoravo. Queste opinioni però non mi hanno influenzato.
Mi resta nel cuore il piacere di una lettura scorrevole, descrizioni particolareggiate sui paesaggi ma anche e soprattutto nelle fasi drammatiche della vicenda: dalla tragedia dove persero la vita 11 persone, al dramma umano di Marco per aver subito l'amputazione di tutte le dita dei piedi dovute al congelamento.
Quando ti spingi oltre i limiti umani, quando vuoi scalare un "8.000 metri", sei consapevole dei rischi che corri; Marco Confortola lo sapeva, non era uno sprovveduto o un incosciente...ma insieme ai compagni di spedizione commise un errore...ed in quelle circostanze climatiche ed a quelle altitudini anche un solo errore può risultare fatale...
Facile, soprattutto per chi è a casa, sarebbe addossare le "colpe" alla sfortuna, alla maledizione della montagna, ed a altre mille scuse che sicuramente non esistono nel mondo degli alpinisti ed amanti della montagna e della natura in genere.
Un Alpinista è principalmente un amante della natura, della montagna e ne rispetta le regole; la rispetta ma non la teme. Un alpinista vive sulla montagna, vive per la montagna e sulla montagna è disposto a morire come lo stesso Confortola ci racconta: "...la montagna non è né buona né cattiva, è parte della natura, la sua parte più antica; è lì da sempre, maestosa, indifferente. Semmai è l'uomo che la sfida, è l'uomo che la cerca, che la investe di significati, se qualcosa va storto, uno può pensare e ripensare a quello che è successo oppure far finta di niente, ma non può in alcun modo proiettare sulla montagna colpe che non ha. La montagna è spettatrice, giudice al di sopra di ogni sospetto. Sempre..."
L'aspetto umano del libro mi ha molto colpito ed affascinato. La storia di questo ragazzo, amante delle avventure, della sua terra e della vita, che dopo una tragedia (alla quale è sopravvissuto per miracolo) perde le dita dei piedi a seguito di congelamento. In principio si sente perso, svuotato, perchè pensa che senza le sue dita dei piedi il mondo della montagna, il suo mondo e ragione di vita, gli può essere negato...Ma lui non ci sta...
Decide, che lui può cambiare il suo destino, può iniziare una nuova vita, può continuare una la sua vita: inizia a conoscere il suo "nuovo corpo", inizia ad abituarsi anche alle cose che posso sembrare più semplici...impara a camminare! Con il passare dei mesi, la FORZA DI VOLONTA', quella volontà che lo ha sempre spinto in sfide al limite, quella volontà che lo ha spinto dopo la disgrazia a spingersi verso il campo base, lo porterà a correre nuovamente e piano piano Marco tornerà a svolgere tutte le attività di un tempo: arrampicata, sci, alpinismo; sue passioni e suo lavoro.
Grazie Marco, continua con le tue avventure.

Sito di Marco Confortola: www.marcoconfortola.it

"RICOMINCIARE" di Marco Confortola: Da una parte c'è lei, la montagna: enorme, eterna, altera. Dall'altra c'è lui, l'uomo, l'alpinista. Alla montagna ha dedicato la propria esistenza: in montagna è nato, in montagna è cresciuto, in montagna ha rischiato di morire.
K2, agosto 2008. Un gruppo di alpinisti di diverse nazionalità, dopo settimane di attesa sul terreno ghiacciato del campo base, dà l'assalto alla vetta. Partono in diciassette. Undici non fanno ritorno. Marco Confortola è tra i sopravvissuti. La discesa dalla cima rappresenta una delle pagine più epiche dell'alpinismo himalayano: freddo, paura, rabbia, determinazione, in tutto quel bianco c'è il senso di una vita, c'è ogni cosa.
17 settembre 2008: Marco Confortola subisce l'amputazione di tutte le dita dei piedi. Dopo un anno e mezzo, tra delusioni e speranze, salite e discese, l'alpinista valtellinese ci riprova: di fronte ai suoi occhi, il Lhotse, 8.516 metri, una delle quattordici montagne più alte della Terra.



martedì 14 febbraio 2012

"MrGwyn" di Alessandro Baricco


"Basta! Ora mollo tutto e ricomincio!"... Quante volte abbiamo pronunciato o ascoltato questa affermazione soprattutto in ambiente lavorativo. Affermazione o sfogo spesso dettata da una discussione con un collega, il capo, un cliente; oppure scaturita da una delusione o semplicemente da una mancanza di stimoli. Nella maggior parte dei casi, dopo una bella dormita (la notte si sa porta consiglio) ripensiamo al nostro lavoro, al piacere che proviamo svolgendolo, al bel rapporto con i nostri colleghi che spesso nel tempo diventano nostri amici ed alcuni parte della nostra famiglia, al rapporto con i clienti, alle gratificazioni che comunque ne derivano. Allora "il bollore" sparisce e si torna alla quotidianità...
...Altre volte queste decisioni si prendono in silenzio e sono frutto di riflessioni, conflitti interni, lacrime versate nel silenzio; decidere di cambiare lavoro e/o vita è una "scelta di vita" (perdonate il gioco di parole) che in alcuni casi ha una spinta motivazionale verso nuove avventure, in altri casi è uno stato di bisogno.
Queste sono alcune riflessioni che ho fatto dopo aver letto "MrGwyn" di Alessandro Baricco, libro che mi è stato regalato da una collega e che ho letto in soli 3 giorni. La storia di un uomo stanco della sua professione, nauseato, decide di cambiarla. Mentre leggevo quelle pagine, pensavo a tutte quelle persone che vorrebbero cambiare la loro professione e/o la loro vita, ma non possono farlo. Perchè per cambiare bisogna anche poterselo permettere in termini economici, inutile nascondersi dietro i soliti ritornelli come "Volere è potere", in parte vero, in parte bisogna che si creino determinate circostanze favorevoli (spesso è ciascuno di noi che giorno per giorno crea, o dovrebbe creare, queste circostanze).
Un libro piacevole, scritto in modo scorrevole e dettagliato, con un linguaggio ricercato nei particolari, che sicuramente attirerà la vostra attenzione. Buona lettura.

MrGWYN - Jasper Gwyn è uno scrittore. Vive a Londra e verosimilmente è un uomo che ama la vita. Tutt'a un tratto ha voglia di smettere. Forse di smettere di scrivere, ma la sua non è la crisi che affligge gli scrittori senza ispirazione. Jasper Gwyn sembra voler cambiare prospettiva, arrivare al nocciolo di una magia. Gli fa spalla, da complice, da assistente una ragazza che raccoglie, con rabbiosa devozione, quello che progressivamente diventa il mistero di MrGwyn. Alessandro Baricco entra nelle simmetrie segrete di questo mistero con passo sicuro e sciolto di sa e ama i sentieri che percorre. Muove due formidabili personaggi che a metà romanzo si passano il testimone, e se a MrGwyn tocca mischiare le carte del mistero, la ragazza ha il compito di ricomporne la sequenza per arrivare a una ardita e luminosa evidenza.

"Mentre camminava per Regent's Park - lungo un viale che sempre sceglieva, tra i tanti - Jasper Gwyn ebbe d'un tratto la limpida sensazione che quanto faceva ogni giorno per guadagnarsi da vivere non era più adatto a lui. Già altre volte lo aveva sfiorato quel pensiero, ma mai con simile pulizia e tanto garbo".

Nelson Mandela e i sogni...


"Un vincitore è semplicemente un sognatore che non si è mai arreso"
(Nelson Mandela, liberato l'11 febbraio 1990)

lunedì 13 febbraio 2012

American Dream - Jeremy Lin


Torna il "Sogno Americano", quel sogno cioè che riesce a concretizzare i sogni...la speranza di tutti. E l'ultimo sogno è diventato realtà per Jeremy Lin, giocatore di basket quasi inesistente ai mass media di tutto il mondo, ma in poche settimane è diventato il fenomeno del momento a cui tutti "adesso" guardano con interesse, o dovrei dire "per interessi". Eh già perchè il mondo dello sport è soprattutto mondo della pubblicità e si sa che lo sport ed i personaggi sportivi fanno vendere molto, soprattutto se parliamo di un ragazzo asiatico e della comunità asiatica che c'è dietro nel mondo, basta pensare che la maglia n°17 ora è la più venduta e la più ricercata. Ma non dimentichiamo che fino a poche settimane fa questo ragazzo dormiva sul divano nella casa del fratello ed era rilegato ad allenarsi in qualche campo dimenticato di New York...Ma è arrivato il suo momento e sta dimostrando il suo valore. Qualcuno già si chiede se è solo la fortuna del principiante...Ma a noi non importa. Ci piace vedere un giovane ragazzo realizzare il suo sogno più importante: giocare in NBA. Forza Jeremy!

La storia di Jeremy Lin, ilplaymaker «signor nessuno» ma laureato ad Harvard, che in una settimana è diventato, nell’ordine, lo sportivo del momento su scala planetaria, il redentore dei New York Knicks e il miglior collante per la traballante panchina di Mike D’Antoni, contiene in realtà una morale che esula dagli immediati risvolti cestistici. La questione, infatti, ha ormai contorni di impatto sociale (le comunità cinesi negli Usa sono impazzite), di comunicazione secondo lo stile del terzo millennio (Lin è diventato un eroe dei social network), di marketing (provate a vedere se trovate ancora, e a che prezzo, una maglia numero 17 dei Knicks...).
Ed è, soprattutto, la prova che la Nba è entrata nella terza epoca della sua storia: se la prima è stata quella dell’autarchia (di pelle bianca o nera, ma giocatori statunitensi al 100%), se nella seconda — avviata un quarto di secolo fa — si è assistito al progressivo afflusso di cestisti del resto del mondo, la terza era è quella nella quale un giocatore è statunitense di natali e di passaporto ma è pure figlio del «melting pot». Il padre di Jeremy emigrò da Taiwan e Lin è così diventato il primo cinese nella Nba ad essere nato sul suolo Usa. Doveva succedere, prima o poi. Ed è un colpo ancora più grande, per la lega professionistica, aver trovato un nuovo personaggio in grado di veicolare il suo messaggio al pubblico asiatico e a un continente giudicato di riferimento: dopo il ritiro di Yao Ming serviva un nuovo campione che sapesse stregare quei mercati e che, come Ali Babà, potesse aprire la porta dietro la quale c’è un tesoro immenso.È chiaro che le iperboli giornalistiche adesso hanno buon gioco: si parla di «Lin-mania», di «Lin-sanity» (follia), di «New York Lin», di «Mamba giallo» da contrapporre al «Mamba nero», cioè Kobe Bryant. Ma la risposta è anche no, perché quanto sta capitando a Lin è una delle cose più entusiasmanti mai registrate nello sport. Jeremy, ben più di una Cenerentola che lascia i lavori umili e va al ballo del re, sta vivendo la gloria, anzi, «il sogno più bello della mia vita», dopo l’anonimato. Anche le università della natia California, in fondo, l’avevano snobbato; la scelta di Harvard derivò da qui, nonostante il ragazzo l’abbia poi legittimata con un videoclip autoprodotto (Le cinque cose necessarie per finire ad Harvard) che danno la misura di quanto sia ironico e simpatico.

Nemmeno la carriera «pro» aveva buttato bene: rilasciato da San Francisco e Houston, durante la serrata era stato offerto a Teramo e a Varese. Ma lui chiedeva la clausola di uscita, nel caso la Nba fosse partita: ecco perché non l’abbiamo visto in Europa. New York l’aveva parcheggiato in fondo alla panchina: per sostenere la regia i Knicks hanno puntato su Baron Davis. Ma quando il «Barone» si è fatto male, seguito nella lista infortunati da Stoudemire e Anthony, l’arrancante D’Antoni ha buttato Lin nella mischia. E il gruppo, da perdente è diventato invincibile. La verità, non a caso il motto di Harvard, è che a basket non si vince con le stelle, bensì con le squadre. Jeremy Lin ne ha scovata una, la sua. E la sta guidando. Non sarà Cenerentola: anche questo è un dettaglio maledettamente affascinante della sua folle esplosione. (articolo di Fabio Vanetti corriere.it)


domenica 12 febbraio 2012

Quando la neve rende 'disabili'


tratto da: "L'Ufficio disabili informa": www.ufficiodisabili.it

Quando la neve rende 'disabili'

«La neve - scrive Camillo Gelsumini, in questo suo incisivo "sfogo" dall'Abruzzo - è una barriera, più o meno come quelle che noi disabili troviamo sui nostri percorsi quotidianamente. Persone che si reputavano forti e gagliarde, all'improvviso si sono trovate bloccate in casa e giù, tutte a lamentarsi in televisione sul fatto che nessuno era andato a spalare la neve davanti casa loro... Chissà se questa esperienza di alcuni giorni "da disabili" ha infuso in qualcuno un po' di consapevolezza in più!»

È arrivata la neve e con essa tanta allegria per il bambini, felicità per i ragazzi che non vanno a scuola e sconforto, disagi e problemi per gli adulti. I disabili probabilmente tutti reclusi in casa, agli "arresti domiciliari"... non esistono, infatti, gomme termiche o catene da carrozzina.
Si sa che d'inverno può capitare che nevichi, anche abbondantemente. Allora perchè tutte queste lamentele e questa impreparazione? Un disabile cinico, quale io sono, potrebbe pensare: «Finalmente molti possono sperimentare sulla propria pelle, a poco prezzo, cosa significhi trovarsi in presenza di barriere». Eh sì, la neve è una barriera, più o meno come quelle che noi disabili troviamo sui nostri percorsi quotidianamente.
Persone che si reputavano forti e gagliarde, all'improvviso si sono trovate bloccate in casa e giù, tutte a lamentarsi in televisione sul fatto che nessuno era andato a spalare la neve davanti casa loro; facevano quasi pena... il Comune non ha fatto niente... la Provincia non ha mandato i mezzi ecc. ecc. Solo una magnifica nonnina di 84 anni ha candidamente confessato di avere spalato tutto il passaggio davanti a casa sua, da sola.
Sicuramente anche qualcun altro lo avrà fatto, ma, tra tutti, quella nonnina meriterebbe un encomio e la ribalta nazionale, perché rappresenta una delle poche superstiti di un'umanità che non esiste più, quell'umanità che si rimbocca le maniche, che ha il coraggio di fare da sé e non aspetta la manna dal cielo.
Nel mio quartiere non ho visto nessuno, dei tanti uomini abili, uscire di casa propria con una pala in mano, forse che all'improvviso sono diventati tutti "disabili" come me?

Ho un'età che mi permette ancora di ricordare che quando nevicava, tanti anni fa, il vicino di casa della mia famiglia spalava tutto il piazzale e faceva pure un pupazzo di neve, anzi, una "pupazza", perché aveva le tette e - spudorato l'autore - del carbone tra le tozze gambe appena accennate. Erano altri tempi, altre generazioni, sicuramente più solidali e generose: non avevano paura di fare qualcosa per la collettività gratuitamente.
Una riflessione: questa società che abbiamo costruito, piena di tante inutilità, si dimostra "handicappante" al primo imprevisto, che sia un terremoto, l'alluvione, la neve o... un naufragio. L'handicap non è tanto fisico, quanto psicologico; la deresponsabilizzazione globale rende tutti inermi, incapaci di reagire, inetti. Nessuno pensa più a se stesso come a una risorsa per la società, ma tutti si aspettano che intervenga qualcun altro; sono tutti (fatte salve le dovute eccezioni) privi di iniziativa personale e incapaci di pensare che sì, proprio tutti noi, possiamo fare qualcosa di utile per la collettività.
Chissà se questa esperienza di alcuni giorni "da disabili" ha infuso in qualcuno un po' di consapevolezza!
E comunque... italiani, supposti di sana e robusta costituzione fisica, forza, prendete una pala e scendete in strada!

Fonte: Superando.it


sabato 11 febbraio 2012

La Mamma Maestra


Dedicato a mia madre

"Sono stato fortunato a frequentare la tua stessa scuola. Tu come maestra ed io come alunno. Non eri la mia maestra, ma la tua presenza a scuola alcune volte mi metteva a disagio: appena facevo qualsiasi cosa eri la prima a saperlo (prima degli altri genitori) la mia maestra mi diceva "adesso vado a chiamare tua madre!". Devo dire la verità, questo "disagio" sparì velocemente.
Era il 1979 quando entrai ufficialmente nella "tua/nostra" scuola. Scrivo "ufficialmente" perchè da sempre ci hai reso partecipi (ad Angela e me) del tuo lavoro, della tua passione, della tua missione. Lavoro, passione e missione che hai ereditato da tua madre "la nonna Lucia", e dalla quale hai mantenuto alcuni insegnamenti importanti che negli anni successivi hai trasmesso a tua volta ai tuoi alunni.
Prima del mio ingresso in prima elementare già facevo parte del tuo mondo professionale: ti piaceva portare Angela e me a scuola con te (all'epoca non c'erano leggi che lo impedivano, oppure te lo permettevano...), nella tua classe, con i tuoi alunni...Per noi era una cosa normale, ed abbiamo vissuto questa normalità per tanti anni. Insieme ai tuoi alunni giocavamo, disegnavamo, imparavamo a cantare, a fare i lavoretti, ed insieme ci divertivamo. Tu eri una maestra speciale perchè i tuoi alunni erano speciali. Ma non tutti lo vedevano...
Questi bambini spesso avevano età diverse e non sempre frequentavano la classe con i loro coetanei, molto spesso venivano da te perchè altrimenti la loro presenza avrebbe "rallentato lo svolgimento del programma della classe", invece con il tuo aiuto anche loro avrebbero avuto la possibilità di imparare tante cose nuove.
Tu eri l'insegnante di sostegno, termine che ho imparato quando sono diventato più grande; all'epoca per me e per quei bambini eri semplicemente "la maestra". Nella nostra scuola si applicavano già allora i rientri pomeridiani, ricordo pomeriggi tutti insieme nella tua classe a fare i compiti, anche se di classi diverse, tu ci seguivi sempre, noi figli ed i tuoi alunni, senza alcuna distinzione.
Ci hai tramandato il più nobile degli insegnamenti che ancora oggi portiamo nel nostro cuore "l'uguaglianza" e la "dignità delle persone". Spesso questi bambini "speciali" venivano emarginati dai loro compagni di classe e dalla società, perchè diversi, perchè "speciali"; tu li ha sempre seguiti, aiutati.
Poi nel settembre del 1982 ci siamo trasferiti dalla Brianza e Penne: nuova città per tutti noi, nuova scuola, nuovi compagni. Anche in questa nuova scuola ti avevano assegnato "una classe speciale" e nuovi alunni che hai accolto come maestra e come mamma, perchè amavi dire che la "Maestra" è come una seconda mamma.
Nella scuola di Penne non si effettuavano i rientri pomeridiani e quindi questi bambini non potevano essere seguiti, allora li accoglievi in casa nostra e tutti insieme facevamo i compiti. Ho questi ricordi impressi nel cuore e non mi sembra vero che sono passati tanti anni. Eravamo lì, tutti insieme, intorno al tavolo della cucina, di età diverse e capacità diverse, tutti insieme, e mai nessuno si è lamentato perchè si sentiva frenato dal compagno di compiti, anzi, insieme cercavamo di migliorarci, con il tuo aiuto. Avevi un'attenzione per tutti, seguivi tutti nei minimi particolari facendoci fare tutti i compiti e guai a non finirli o non volerli fare; così come eri dolce e disponibile allo stesso modo eri severa ed esigente. Negli anni attorno alla nostra tavola si sono avvicendati tanti bambini più o meno grandi, con più o meno gradi di difficoltà, e tutti negli anni hanno ottenuto grandi miglioramenti. Mai nessuno dei tuoi alunni "speciali" è stato bocciato. Non perchè era "speciale" e quindi non era corretto bocciarlo, ma perchè avevano imparato il programma magari in tempi e metodologie diverse, ma alla fine dell'anno avevano raggiunto l'obiettivo; daltronde da grande mi hanno insegnato che "la mappa non è il territorio"...
Ricordo di quando ti sei imposta con un prete per far fare la prima comunione al tuo alunno Gianni (nome di fantasia). Il prete non voleva, diceva che non poteva capire il sacramento, e tu lo convincesti rispondendo: "se gli dà in mano un’immagine di Gesù la bacia, non è sufficiente? che cosa può capire tanto di più un bambino “normale” della sua stessa età? Avevi ragione. Eh sì sono bei ricordi, insegnamenti di una certa importanza.
Ci hai sempre insegnato che tutti gli esseri umani sono uguali e che non dobbiamo fare distinzioni, quando andavamo in giro avevi sempre una parola per tutti: bambini, anziani, senza tetto ed a tutti ti rivolgevi nel medesimo modo e con il medesimo sorriso, ed io sono cresciuto con questo importante insegnamento...
...Sono cresciuto, e mi sono accorto che i tuoi ex alunni li chiamano "handicappati", "diversamente abili", fanno parte delle "categorie protette", sono una "CATEGORIA", vengono cioè "catalogati e divisi per DIVERSITA'". La società li emargina perchè li definisce un peso, spesso le stesse famiglie li emarginano perchè sono diversi e non li accettano per quello che sono: Persone.
La società li emargina come cittadini, come lavoratori nessuno li vuole (tanto che hanno dovuto fare una legge che "obbliga" le aziende ad assumere un determinato numero di "disabili" in base al proprio organico) perchè non sono produttivi come gli altri (mi permetto di dire che alcune volte lo sono di più). Una società che ama le belle parole, bei sorrisi, belle promesse, ma non i fatti; che si nasconde dietro falsità ed ipocrisie ma che non vive il quotidiano.
Cara mamma, queste Persone adulte vengono seguite da volontari che grazie alla loro opera li aiutano ad inserirsi nella società che spesso non li vuole, loro sono speciali perchè lo sanno e ne soffrono, ma pochi li ascoltano, pochi si fermano a parlare con loro, pochi danno loro una possibilità.
Cara mamma, so che non te l'ho mai detto, ma voglio ringraziarti per essere stata per noi mamma e maestra, per averci insegnato che ognuno di noi è una PERSONA SPECIALE."

sabato 4 febbraio 2012

L'inglese: la lingua del passato


"L'inglese: la lingua del passato!". Tranquilli non sono impazzito, almeno per il momento, voglio solo condividere con voi una riflessione che vado facendo da un pò di tempo e che negli ultimi giorni ho approfondito...
Negli anni settanta ed ottanta (senza andare troppo indietro nel tempo) si parlava della lingua inglese come la "lingua del futuro", utile soprattutto nel mondo lavorativo dove l'economia stava diventando sempre più globale (a dir la verità nel secolo scorso si stava manifestando l'esigenza di coniare una lingua "universale", e fu così che venne creato l'ESPERANTO, lingua che però non ha mai preso piede, a favore della più commerciale lingua inglese). Negli anni novanta e duemila la globalizzazione economica e culturale si è sempre più diffusa e con essa la necessità di trovare un linguaggio comune che potesse unire le popolazioni mondiali; perciò oggi, nel 2012 mi sento di definire l'inglese "la lingua del passato" perchè chi come me ha ancora difficoltà con questa lingua, deve adeguarsi ad un mondo "non che cambia" ma che "è già cambiato" ed io/noi siamo stati fermi a vedere questo cambiamento...ma per fortuna non è mai troppo tardi...
A chi mi conosce abbastanza bene, ho confidato più volte che il mio più grande "handicap" (che mi ha precluso alcune importanti avventure professionali interessanti) dal punto di vista formativo/professionale non è stato tanto il non terminare gli studi universitari, ma il fatto di non avere una fluidità linguistica, soprattutto nella lingua inglese. Ecco perchè quando mi trovo, per lavoro o nella vita, a parlare soprattutto con i giovani, consiglio loro di vivere e studiare un periodo di almeno un anno all'estero per studiare e/o migliorare il proprio livello di inglese, e magari trovare un lavoro che li aiuti a migliorare la pronuncia. (Vado forte nel consigliare gli altri...)
Nell'ottobre del 2011 sulla rivista "Millionaire" è stato pubblicato un articolo molto interessante, che evidenzia, purtroppo, che il mio "handicap" non è solo mio (non è che la cosa mi rincuori). Oggi il 50% dei dipendenti utilizza ogni giorno l'inglese nel mondo sul posto di lavoro; solo il 3% degli italiani guarda film in lingua originale o legge giornali stranieri; e si calcola che entro 10 anni circa 3 miliardi di persone parleranno inglese. "Non è mai troppo tardi per imparare l'inglese!", è quello che mi sono detto e che ho anche letto, l'importante è farsi seguire, avere buona volontà e determinazione (che non è poco!).
Qualche giorno fa il Presidente del Consiglio Monti, è stato duramente criticato, soprattutto nel modo dei socialnetwork, per una frase poco felice (o interpretata male) nella quale si invitavano i giovani a non accontentarsi del posto fisso ma di essere continuamente curiosi. Personalmente, l'ho trovato un ottimo consiglio: in un mondo in continua evoluzione dove le professioni e competenze fino ad oggi valide potranno non esserlo più in meno di un decennio occorre una certa flessibilità professionale e culturale, avere la capacità di rivendersi anche in altre professioni magari nuove in un contesto di mercato del lavoro globale e flessibile; ed ecco perchè, ancor di più, è necessario conoscere e migliorare il proprio livello di inglese.
Proprio ieri sera, in una visione casuale della tv e dello spettacolo "Zelig" mi ha colpito molto il comico John Peter Sloan, dove ritiene che il principale ostacolo di noi italiani nell'apprendimento della lingua inglese sia nel nostro "blocco mentale" cioè nella "paura di fare gaffe"; il comico però, giustamente, ci ricorda che le vere gaffe sono altre e che bisogna approcciare lo studio di una nuova lingua con semplicità, curiosità, umiltà e felicità. "La formula magica per imparare una lingua è non prenderla come un obbligo, ma un divertimento". Atteggiamenti che approvo in pieno!
Su internet vi sono tantissime offerte formative che vanno incontro alle esigenze più disparate, ma ritengo che ognuno debba cercare l'offerta a lui più adatta in base al proprio "rigore formativo" ovvero alla capacità di autodisciplinarsi... e si sa che noi adulti più cresciamo più diventiamo indisciplinati ed amanti della nostra opinione...
Che dire ancora: Let's go!

giovedì 2 febbraio 2012

La Patria, Bene o Male


Nel 2011 abbiamo celebrato nel nostro Paese il 150° anniversario dell'Unità d'Italia. Una celebrazione durata un intero anno: alcuni ne hanno scritto e parlato, qualcuno ha letto questi scritti, da pochi è stata sentita... Il paradosso è che ci sentiamo "Italiani" solo in occasioni come i mondiali di calcio o avvenimenti sportivi in genere, ma non lo siamo nel nostro quotidiano: il nord che discrimina il sud, il sud che non vuole avere a che fare con il nord ma deve accettare il fatto che lì c'è (purtroppo) il cuore produttivo dell'Italia, le isole che non si sentono parte del territorio Italiano, ed alcune regioni del nord a statuto speciale (che vorrà dire poi...) che vogliono essere indipendenti. Campanilismi e spaccature interne che esistono da sempre, come vedremo appunto nel volume qui di seguito, Un'Unità nazionale voluta da pochi Signori piemontesi e non dal popolo.
In questi giorni sto terminando la lettura del libro "La Patria, bene o male" che mi è stato regalato da una collega lo scorso Natale, un libro che forse non avrei comprato che sono stato contento di aver letto ed oggi di consigliarvelo al fine di conoscere meglio la nostra storia narrata con una chiave di lettura singolare, cioè dando voce/spazio a chi magari dalla "Storia" è stato ignorato...Mentre vi scrivo rileggo il libro per cercare di riportare qualche passaggio saliente, ma non so scegliere...non voglio far torto a nessuno perchè tutti meritano di essere citati: tutte le storie meritano di essere lette e rivissute perchè sono parte integrante della nostra storia e della nostra cultura.
La storia di questi 150 anni si divide in due parti: quella del parlamento e degli inciuci della politica (destra e sinistra indifferentemente), come si vede negli anni non è cambiato nulla; e quella della gente comune di tante piccole storie, persone, che con la loro vita e le loro opere hanno saputo unire la nazione; nel libro vi sono tante storie anche poco conosciute, e per questo ancor di più apprezzate, che dipingono un'Italia normale, sobria ma appunto per questo di Valore. Che dire ancora: Buona lettura e VIVA L'ITALIA UNITA!!!

"LA PATRIA, BENE O MALE di C.Fruttero e M.Gramellini) - Un viaggio lungo centocinquant'anni, tanti come quelli dell'Italia, attraverso centocinquanta date, saltando di decennio in decennio sulla scia di alcuni avvenimenti, non sempre quelli più noti e decisivi, spesso quelli più curiosi e meno discussi, con un unico obiettivo: tratteggiare il carattere di una nazione, che è andata costruendosi, non senza difficoltà e controversie, con quella dose di vittimismo che ormai ci appartiene di diritto, guidata da uomini forti e mezze cartucce, una nazione che in fin dei conti ha saputo emergere e ritagliarsi un posto in Europa e nel mondo. Con lo stile dello scrittore e quello del giornalista, Carlo Fruttero e Massimo Gramellini compilano unmemorandum sui fatti a loro avviso più significativi, includendo quelli obbligatori come la breccia di Porta Pia, la marcia su Roma o il rapimento Moro, escludendone altri,

comprendendo fatti di cronaca nera e di cronacarosa, citando Pavarotti e non la Callas, Casalegno e non Tobagi, il Vajont e non il Polesine e così via. Attraverso la lettura di documenti al fine di inquadrare in maniera precisa ciascun fatto, Gramellini e Fruttero hanno compilato un breviario della storia d'Italia, partendo molto spesso, come nel caso del rivoluzionarioBakunin o del predicatore DavideLazzaretti, da particolari vividi e capaci di imprimersi nella memoria con il fine ultimo di dare un'"infarinatura di storia d'Italia" al lettore, senza il taglio grigio, noioso e scolastico di un libro di storia, di cui abbiamo le librerie piene. Un'infarinatura di storia per far ritornare in mente episodi studiati sui banchi di scuola, far conoscere avvenimenti ignoti, mettere ordine tra i cassetti della memoria. L'impressione finale dei due autori è quella di una Patria "difficile", "più volte sull'orlo del baratro, più volte nel baratro precipitata, con continue riprese anche stupefacenti, anche ammirevoli", con punte di orgoglio e punte di vergogna, un Paese "fastidioso, quasi sempre dilaniato da emotività contrapposte e che potrebbe fare molto di più". La nostra Italia, in fondo, nel bene e nel male.

mercoledì 1 febbraio 2012

Paura e Volontà


"Sono una Lanterna Verde, non temo nulla. La paura è nemica della Volontà, la Volontà è ciò che spinge ad agire; la paura è ciò che ti frena e ti rende debole. Devi ignorare la tua paura: quando hai paura non puoi agire, quando non puoi agire non puoi difenderti, e se non puoi difenderti, muori..."
(tratto dal film "Lanterna Verde")