sabato 30 giugno 2012

"E li chiamano disabili" di Candido Cannavò


La scoperta di questo libro è avvenuta in modo casuale (come alcune volte mi capita). Ero alla ricerca di libri che parlavano di disabili e mondo del lavoro, una tematica difficile e scomoda da affrontare (ma di questo scriverò in seguito). La venditrice della libreria però mi consiglia questo titolo "E li chiamano disabili" di Candido Cannavò. Autore che conoscevo come giornalista. Aspetto qualche giorno perchè il volume non era disponibile.
La lettura è stata da subito coinvolgente. La prefazione è stata curata con grande sensibilità da Walter Veltroni, della quale riporto qualche passaggio: "...Questo viaggio è una storia nobile. Nobile perchè non solo nasce da una consapevolezza dolorosa, ma perchè questa consapevolezza è vissuta attraverso un prezioso ribaltamento, quello per cui l'esplorazione del mondo dei disabili non deve essere vissuta attraverso lo stereotipo di un viaggio nel dolore e nell'angoscia, ma che questo andare può trasformarsi in un'esplorazione alla ricerca della bellezza e della forza vitale espresse dal mondo dei diversamente abili...Il dovere di tutti noi è quello di farci carico della loro stessa volontà, e di assumerla socialmente, politicamente, eliminando qualsiasi ostacolo psicologico, giuridico, fisico che tenda a isolarla, abbattendo il pregiudizio, la negligenza che nasconde, che umilia e oltraggia...La forza etica delle storie raccontate da Cannavò sta proprio nella considerazione della diversità fatta senza pietismo, affrontata con quella franchezza e quella civiltà che rendono intenso e profondo il mestiere di scrivere...Perchè i personaggi, le storie, le parole di questo libro ci impongono il rispetto e l'attenzione  verso chi, da una posizione differente e svantaggiata, ci dimostra di essere in grado di insegnarci volontà e forza vitale, quella forza che è in tutto e per tutto una risorsa preziosa per la nostra società, per la nostra consapevolezza di esseri umani".

Il libro ritrae in copertina Simona Atzori, ballerina e pittrice di grande talento. Ma il libro racconta storie di tante altre persone speciali, che hanno fatto della loro disabilità l'occasione per sviluppare e sfruttare altri talenti. C'è  Alex Zanardi, il pilota rimasto senza gambe in un incidente, perché disabili non sempre si nasce, qualche volta lo si diventa, poi c'è il dottor Anibaldi, chirurgo, paraplegico dal 1983: ora è il massimo esperto di senologia all'ospedale di Rieti e, grazie ad un prodigio dell'artigianato, riesce ad operare i suoi pazienti in posizione eretta e altre storie, sedici in tutto.
Sedici storie incredibili, di persone che fanno cose eccezionali, con l'aiuto di chi ha saputo amarli, comprenderli ed aiutarli a dare il meglio a trarre da loro stessi quelle potenzialità che erano sopite ma presenti. 
Candido Cannavò nelle prime pagine precisa: "Mi viene il sospetto di aver forzato l'impegno, di aver cercato tra i disabili i campioni capaci di un'impresa provocatoria. Non mi sento di escludere il peccato. Di certo, il pensiero si rivolge anche alla moltitudine che, lontana da ogni clamore, realizza l'impresa più grande: quella di vivere dignitosamente, giorno dopo giorno". Mi sento di dire che queste storie vanno raccontate, perché sono un aiuto a chi si trova a vivere la disabilità, ma anche a chi si trova ad essere genitore, fratello, amico, insegnante, di una persona con delle difficoltà, vale la regola che dovrebbe valere per tutti. Aiutarli ad avere fiducia nelle proprie capacità, non lasciarli soli e non restare soli.Perché spesso le difficoltà che le famiglie vivono tendono a far sì che ci si isoli, che si cada nell'errore di convincersi che gli altri non capiscono, non comprendono e di finire per non tentare nemmeno di spiegare loro.
Non è facile vivere la disabilità in prima persona e non è facile stare vicino a chi vive questa condizione, ma è un'esperienza che cambia lo sguardo sul mondo e ci rende più "persone", quindi è doveroso che si parli, e si faccia lo sforzo di entrare in contatto con questo mondo, perché potrà solo venirne qualcosa di buono per gli uni e per gli altri.
"Uomini e donne che non hanno alcun bisogno di pietismo e compassione, ma che chiedono piuttosto l'accoglienza e l'attenzione dei conformisti della normalità".

CANDIDO CANNAVO' - (1930-2009) è stato direttore della "Gazzetta dello Sport" dal 1983 al 2002. Per Rizzoli ha pubblicato: "Una vita in rosa", "Libertà tra le sbarre"  

giovedì 28 giugno 2012

L'emozione... di A.Senna

"Forse ho l'aria di uno molto freddo, glaciale. Ma è falso. Mi capita di piangere o di commuovermi in pubblico. Io sono nato e cresciuto così. Sono un emotivo. E ne ringrazio Dio, perchè la vita senza emozione e senza amore non ha senso. I sentimenti sono il combustibile della vita, la benzina con la quale tutti cerchiamo la motivazione". (Ayrton Senna)

venerdì 22 giugno 2012

Voglia di cambiare? C'è l'ufficio di SCOLLOCAMENTO

Qualche tempo fa, proprio nelle pagine di questo "diario" scrivevo di come il mondo consumistico si stia impossessando sempre più della nostra vita. Ognuno di noi, chi più chi meno, cede alle tentazioni del marketing, della pubblicità, delle tendenze della moda, ecc. Ormai lavoriamo prevalentemente per soddisfare i nostri "desideri" e non i nostri "bisogni". Lavoriamo di più per guadagnare di più, e non per la soddisfazione professionale che ne deriva. Abbiamo bisogno di soldi per comprare: una casa più grande, una macchina più grande, una moto più potente, un guardaroba più fornito, l'ultimo oggetto hi-tech, ecc. I desideri possono essere i più disparati ma ognuno di loro ha un comune denominatore: "la schiavitù del lavoro", schiavi del "Dio denaro". Anch'io, aimè, avendo fatto un esame di coscienza, mi rendo conto di essere attratto da questo sistema consumistico. Mi rendo conto alcune volte di "volere di più" ma effettivamente di "possedere sempre meno" ed avere meno tempo per godermele e condividerle. Mi definirei un "drogato del consumismo" (forse il termine è un pò forte, ma rende l'idea). Effettivamente alcune volte sono incapace di rinunciare al "superfluo" anche se a mio malgrado me ne rendo conto. Avrei bisogno di un vero e proprio percorso di "disintossicazione". Una volta questo termine veniva usato solo per la dipendenza da droghe, tabacco, alcool. Recentemente ho letto che queste associazioni si occupano di recuperare persone che hanno le dipendenze più disparate: dipendenza da videogiochi, uso eccessivo del pc, abuso dei social network, uso eccessivo delle carte di credito, gioco d'azzardo, ecc.
Il mese scorso, appunto leggendo "Millionaire", mi sono imbattuto in questo breve ma intenso articolo/progetto che può aiutare ciascuno di noi a far chiarezza sulla nostra vita; aiutarci a capire effettivamente quali sono i nostri VERI bisogni ed i nostri desideri, non quelli materiali che distolgono dai VERI VALORI DELLA VITA.
So di non essere il solo a vivere questo stato di disagio, e la domanda che spesso mi/ci poniamo è "Voglio veramente uscirne? Come fare?"...Iniziando dalla cosa più semplice e più dignitosa: chiedere aiuto a chi può aiutarci a RICONQUISTARE LA NOSTRA VITA!


ECCO COME ANDARE CONTROCORRENTE E VIVERE CON MENO COSE, MEO DENARO, MENO LAVORO. (tratto da "Millionaire" mag 2012)

Simone Perotti (www.simoneperotti.com), lo ricordate? E' il manager che ha mollato tutto (Milano e un impiego superpagato) per assecondare la sua passione per il mare. E la sua voglia di libertà. Ha raccontato la sua scelta di downshifting nei libri "Adesso basta" e "Avanti tutta". Ora torna con questo nuovo lavoro "UFFICIO DI SCOLLOCAMENTO - Una proposta per tornare a vivere". Ma oltre al libro c'è un progetto...
1) VAI IN DIREZIONE OPPOSTA E CONTRARIA - Mentre tutti cercano di salire sulla nave del lavoro, dell'economia, del consumo, c'è chi come me vuole scendere. Anche perchè la nave sta affondando. Ma non si scende da una nave buttandosi in acqua, si rischia di affogare. Serve un percorso formativo e poi un progetto. Gli uffici di scollocamento mettono insieme filosofi, scrittori, economisti, psicologi, coach, artigiani, agricoltori che ci facciano da tutor. Quando cerchi di uscire dalla droga del lavoro e del consumo, hai bisogno di una comunità di recupero.
2) SPEZZA LE CATENE - Il progetto si rivolge prima di tutto ai workaholic, cioè i malati del lavoro che non riescono a spezzare le catene. Poi a quelli che hanno capito che lavoreremo per una vita correndo sul tapis roulant della pensione che però non ci daranno (o, almeno non in tempo). A quelli che hanno capito che viviamo qualche decennio e poi moriamo, ma ora non è ancora quel giorno. C'è ancora la possibilità di vivere diversamente, con meno cose, meno denaro, meno ansia; più gioia, più idee, più progetti.
3) CAPISCI SE E' IL MOMENTO - Bisogna chiedersi: sono felice, il lavoro mi appaga, il denaro è un giusto premio alla mia fatica, le mie relazioni sono buone, i cibi sono sani, gli oggetti utili? Se la risposta  è si, allora avanti tutta. Se è no, serve un cambiamento. SCOLLOCARSI da responsabilità assurde e inutili dalla vicinanza con gente che non amiamo, da uno stile di vita che massacra il Pianeta e anche noi è l'unica via.
4) ALLENATI ALLE RINUNCE - Di fronte ai grandi vantaggi (più libertà, più tempo per la nostra vita) bisogna abituarsi alle rinunce. Alleniamoci a vivere senza niente, le poche cose che avremo ci sembreranno moltissimo. Bisogna capire dove buttiamo i soldi. Oggi se si vuole essere liberi occorre vivere con poco.
5) DECIDI CHE COSA FARE UNA VOLTA SCOLLOCATO -  Ognuno ha una naturale tendenza, magari sepolta dalle paure. Tiriamola fuori testandoci, facendo. Capire chi siamo e cosa vogliamo fare è la nostra stella cometa. Serve un progetto, che poi è una mappa da seguire. Il tutto senza paura. Cambiare non accorcia la nostra vita. Semmai la allunga.

"Meglio scollocarsi da responsabilità inutili e da uno stile di vita massacrante". 

"L'attimo fuggente"

"Sono salito sulla cattedra per ricordare a me stesso che dobbiamo sempre guardare le cose da angolazioni diverse. E il mondo appare diverso da quassù. Non vi ho convinti? Venite a vedere voi stessi. Coraggio! E' proprio quando credete di sapere qualcosa che dovete guardarla da un'altra prospettiva"
(Robin Williams - L'attimo fuggente)

lunedì 11 giugno 2012

"Il vento del cambiamento"...Scorpions

"...Il vento del cambiamento soffia diritto in faccia al tempo come una tempesta che suonerà la campana della libertà per la pace della mente..."
(tratto da "Wind of change" Scorpions")


http://www.youtube.com/watch?v=gGlCaWcutzE

mercoledì 6 giugno 2012

"IL DOVERE" di Oriana Fallaci

"Non si fa il proprio dovere perchè qualcuno ci dica grazie, lo si fa per Principio, di per sè stessi, per la propria dignità". (Oriana Fallaci)

venerdì 1 giugno 2012

Irena Sendler

Esistono e sono esistiti nel mondo uomini e donne eccezionali che spesso hanno svolto la loro opera lontano dai riflettori. Una di queste Persone si chiamava IRENA SENDLER. 
Una persona che fino ad oggi non rientrava nelle mie "conoscenze". Grazie all'amico Mauro che mi ha dato questa possibilità. Questa Signora divenne famosa per aver salvato, insieme con una ventina di altri membri della Resistenza polacca, circa 2.500 bambini ebrei, facendoli uscire di nascosto dal ghetto di Varsavia, fornendo loro falsi documenti e trovando rifugio per loro in case al di fuori del ghetto.
Ma il mondo ed il comitato che assegna il tanto ambito Premio Nobel non si accorto (o non si è voluto accorgere...) di lei. ecco una delle sue ultime dichiarazioni:

"Ogni bambino salvato con il mio aiuto è la giustificazione della mia esistenza su questa terra, e non un titolo di gloria" (I.Sendler)

Di seguito per tutti noi la sua storia (tratto da Wikipedia):
Divenne famosa per avere salvato, insieme con una ventina di altri membri della Resistenza polacca, circa 2.500 bambini ebrei, facendoli uscire di nascosto dal ghetto di Varsavia, fornendo loro falsi documenti e trovando rifugio per loro in case al di fuori del ghetto. Irena Sendler, da nubile Irena Krzyżanowska, (Varsavia15 febbraio 1910 – Varsavia12 maggio 2008), è stata una infermiera e assistente sociale polacca, che collaborò con la Resistenza nella Polonia occupata durante la Seconda guerra mondialeIrena Sendler nacque in una famiglia polacca di orientamento politico socialista, nella periferia operaia di Varsavia. Il padre, Stanisław Krzyżanowski, era medico; egli morì di tifo nel febbraio 1917, avendo contratto la malattia mentre assisteva ammalati che altri suoi colleghi si erano rifiutati di curare. Molti di questi ammalati erano ebrei: dopo la sua morte, i responsabili della comunità ebraica di Varsavia si offrirono di pagare gli studi di Irena come segno di riconoscenza. Pur essendo di confessione cattolica, la ragazza sperimentò fin dall'adolescenza una profonda vicinanza ed empatia con il mondo ebraico. All'università, per esempio, si oppose alla ghettizzazione degli studenti ebrei, e come conseguenza venne sospesa dall'Università di Varsavia per tre anni. Terminati gli studi, cominciò a lavorare come assistente sociale nelle città di Otwock e Tarczyn.
Durante la seconda guerra mondiale, Trasferitasi a Varsavia, già da quando i nazisti occuparono la Polonia (1939) cominciò a lavorare per salvare gli Ebrei dalla persecuzione: con altri collaboratori, riuscì a procurare circa 3.000 falsi passaporti per aiutare famiglie ebraicheNel 1942 entrò nella resistenza polacca, che al suo interno presentava forti contrasti fra la componente nazionalista e cattolica e la componente comunista, contrasti che a volte si ripercuotevano anche nelle fasi decisionali. Il movimento clandestino non comunista di cui faceva parte la Sendler, la Żegota, incaricò la donna delle operazioni di salvataggio dei bambini ebrei del Ghetto.
Come dipendente dei servizi sociali della municipalità, la Sendler ottenne un permesso speciale per entrare nel Ghetto alla ricerca di eventuali sintomi di tifo (i Tedeschi temevano che una epidemia di tifo avrebbe potuto spargersi anche al di fuori del Ghetto stesso). Durante queste visite, la donna portava sui vestiti una Stella di Davide come segno di solidarietà con il popolo ebraico, come pure per non richiamare l'attenzione su di sé.
Irena, il cui nome di battaglia era "Jolanta", insieme ad altri membri della Resistenza, organizzò così la fuga dei bambini dal Ghetto. I bambini più piccoli vennero portati fuori dal Ghetto dentro ambulanze o altri veicoli.
In altre circostanze, la donna si spacciò per un tecnico di condutture idrauliche e fognature: entrata nel ghetto con un furgone, riusciva a portarne fuori alcuni neonati nascondendoli nel fondo di una cassa per attrezzi, o alcuni bambini più grandi chiusi in un sacco di juta. Nel retro del camion teneva anche un cane addestrato ad abbaiare quando i soldati nazisti si avvicinavano, e a coprire così il pianto dei bambini.
Irena Sendler annotava i veri nomi dei bambini accanto a quelli falsi e seppellì gli elenchi dentro bottiglie e vasetti di marmellata sotto un albero del suo giardino, nella speranza di poter un giorno riconsegnare i bambini ai loro genitori.Fuori dal Ghetto, la Sendler forniva ai bambini dei falsi documenti con nomi cristiani, e li portava nella campagna, dove li affidava a famiglie cristiane, oppure in alcuni conventi cattolici come quello delle Piccole Ancelle dell'Immacolata a Turkowice e Chotomów. Altri bambini vennero affidati direttamente a preti cattolici che li nascondevano nelle case canoniche.Nell’ottobre 1943 la Sendler venne arrestata dalla Gestapo: fu sottoposta a pesanti torture (le vennero spezzate gambe e braccia, tanto che rimase inferma a vita), ma non rivelò il proprio segreto. Condannata a morte, venne salvata dalla rete della resistenza polacca, che riuscì a corrompere con denaro i soldati tedeschi che avrebbero dovuto condurla all'esecuzione. Il suo nome venne così registrato insieme con quello dei giustiziati, e per i mesi rimanenti della guerra visse nell'anonimato, continuando però a organizzare i tentativi di salvataggio di bambini ebrei. Terminata la guerra e l'occupazione tedesca, i nomi dei bambini vennero consegnati ad un Comitato Ebraico, che riuscì a rintracciare circa 2.000 bambini, anche se gran parte delle loro famiglie erano state sterminate a Treblinka e negli altri lager.
La storia della vita della Sendler venne riscoperta nel 1999 da alcuni studenti di un college del Kansas (v. www.irenasendler.org), che hanno lanciato un progetto per fare conoscere la sua vita e il suo operato a livello internazionale.
Nel 1965, Irena Sendler venne riconosciuta dallo Yad Vashem di Gerusalemme come una dei Giusti tra le nazioni. Soltanto in quell'occasione il governo comunista le diede il permesso di viaggiare all'estero, per ricevere il riconoscimento in Israele
Il 7 novembre 2001 le venne assegnata la Croce di Comandante con Stella dell'Ordine della Polonia Restituta.
Nel 2003papa Giovanni Paolo II le inviò una lettera personale lodandola per i suoi sforzi durante la guerra. Il 10 ottobre 2003 essa ricevette la più alta decorazione civile della Polonia, l'Ordine dell'Aquila Bianca, e il premio Jan Karski "Per il coraggio e il cuore", assegnatole dal Centro Americano di Cultura Polacca a Washington, D.C..
Nel 2007 l'allora Presidente della Repubblica di Polonia Lech Kaczyński, avanzò la proposta al Senato del suo Paese perché fosse proclamataeroe nazionale. Il Senato votò a favore, all’unanimità. Invitata all'atto di omaggio del Senato il 14 maggio dello stesso anno, all'età ormai di 97 anni non fu in grado di lasciare la casa di riposo in cui risiedeva, ma mandò una sua dichiarazione per mezzo di Elżbieta Ficowska, che aveva salvata da bambina.
Il nome di Irena Sendler venne anche raccomandato dal governo polacco per il premio Nobel per la pace, con l'appoggio ufficiale dello Stato di Israele espresso dal suo primo ministroEhud Olmert (anche se queste nomine dovrebbero essere mantenute segrete). Alla fine tuttavia, il premio venne assegnato a Al Gore.