sabato 31 maggio 2014

"Volevo solo vendere la Grattachecca" -di Daniele Mandrioli

In Italia, si sa, fare impresa non è cosa facile. Oltre al "rischio d'impresa" che ovviamente si tiene conto quando ci si lancia in una nuova impresa, c'è un rischio maggiore, poco conosciuto ma che paradossalmente alcune volte è decisivo: LA BUROCRAZIA. Già, perché in Italia la burocrazia opera per "compartimenti stagni" nel senso che i vari uffici, enti non si interfacciano tra loro: hanno cioè dei protocolli e procedure a sé. Quindi il "malcapitato" imprenditore deve "driblare" tra vari uffici, leggi (nazionali, regionali, provinciali e comunali) sempre diverse e molto spesso in contraddizione. Alte tasse da pagare ancor prima di iniziare, proprio come accade ai protagonisti della storia che riporto di seguito.

Questa storia però, può essere letta con una duplice chiave di lettura: quella dell'uomo comune e quella invece di chi sa come funzionano queste dinamiche imprenditoriali. Mi permetto a tal proposito di fare qualche considerazione personale:
- spesso quando si va in vacanza (come il caso dei protagonisti della storia) siamo più recepivi ed obiettivi su ciò che ci circonda e sulle iniziative economiche che in quel contesto hanno successo, e travolti dall'entusiasmo si pensa di voler duplicare quella stessa idea nella città di residenza;
- ci sono città più propense e disponibili ad un tipo di attività ambulanti: se vogliamo prendere ad esempio due grandi città possiamo dire che Roma è più propensa e Milano un "po' meno";
- la caratteristica che rende l'attività "ambulante" più complessa è l'aggiunta di bevande alcoliche nella grattachecca, in quanto ci sono forti limitazioni sulla somministrazione di bevande alcoliche;
- per la forma societaria avrei optato su una società in accomandita semplice o meglio ancora una cooperativa dove i soci posso risultare come "soci-lavoratori" evitando così ulteriori costi.

Leggendo questa storia mi è venuto in mente un libro che avevo letto qualche tempo fa "Volevo solo vendere la pizza" di L Furini e che avevo commentato su questo blog ( http://dantedalfonso.blogspot.it/2011/09/volevo-solo-vendere-la-pizza-di-lfurini.html )

E' una storia reale… ma la realtà alcune volte è ancora più complessa…(o dovrei dire drammatica). Fortunatamente in Italia ci sono ancora persona che nonostante le tante difficoltà burocratiche, hanno ancora voglia di fare impresa :)
Un ringraziamento all'amico Gianpiero per aver condiviso con me questa storia
Buona lettura


(di Daniele Mandrioli) - Siamo tre studenti universitari di Milano; dei ragazzi normali a cui, durante
una vacanza romana viene un’idea apparentemente brillante: esportare la grattachecca a Milano e renderla alcoolica, girando la città con un carretto. La nostra intenzione è realizzare una piccola attività di impresa dai costi di start-up pressoché irrilevanti e con un basso margine di rischio.  A settembre decidiamo di mettere in pratica questo progetto e iniziamo la nostra Odissea.
Per cominciare a orientarci, approfittiamo della gentilezza di un impiegato della sede Confesercenti di Milano, il quale ci spiega che, per poter vendere liberamente il nostro prodotto, è necessario svolgere un corso gestito dal CAPAC per conseguire la licenza di vendita e somministrazione di alimentari (durata 132 ore e costo pari a 552 euro di iscrizione escluso acquisto del libro di testo) e ottenere successivamente una licenza per vendita itinerante-ambulante da richiedere al Comune. Fin qui, la procedura ci sembra abbastanza semplice.
Le cose iniziano a complicarsi quando si tratta di costituire la società. Dopo aver chiesto pareri a parenti avvocati e amici commercialisti, decidiamo di  costituire una società in nome collettivo. Lo scoglio si chiama INPS. Ci rechiamo di persona nell’ufficio di Milano dell’INPS e veniamo a scoprire di essere obbligati a versare 3361,64 euro per ogni socio-amministratore più una percentuale sui guadagni che va ad alzarsi proporzionalmente al netto delle vendite. Iniziamo a vacillare: i costi stanno aumentando, ma forse siamo stati ingenui noi a non preventivarli. Continuiamo quindi il nostro giro informativo.
Consultando i disordinati siti internet di Comune e Provincia, veniamo a scoprire il divieto di somministrare alimentari in modalità itinerante-ambulante vigente in numerosissime zone della città (per intenderci, tutto il centro di Milano fino alle mura spagnole, oltre alla zona dell’Arco della Pace, etc…). Queste limitazioni, difficilmente giustificabili, ridimensionano il nostro progetto, ma teniamo duro: vogliamo informarci chiaramente sulle normative e trovare soluzioni, o per lo meno risposte, parlando direttamente con gli impiegati competenti. Oltre al problema delle limitazioni di vendita nelle zone più appetibili della città, un’altra questione rilevante è quali siano i requisiti e i vincoli in merito alla somministrazione, trasporto e possesso di materiale alcoolico. Decidiamo quindi di fare tappa all’ufficio dell’agenzia delle dogane. Qui, però, le nostre domande generano nuovi quesiti e nuove incertezze che sembrano poter trovare risposte esclusivamente in altri uffici. Gli impiegati ci avvertono della necessità di informare la Asl, di chiedere chiarimenti al Comune e addirittura di informarci dai vigili del fuoco per conoscere i requisiti necessari per la detenzione di materiale infiammabile. Storditi, visitiamo un ufficio Asl. Qui l’impiegata ci invita ad andare in un’altra sede (la sfortuna vuole che si trovi dall’altra parte di Milano) competente in materia. Peccato che questo ufficio si aperto esclusivamente la mattina, il che ci obbliga a rimandare l’incontro. Oramai convinti dell’impossibilità di rendere effettivo il nostro ambiziosissimo progetto di vendere grattachecche, ma testardi come muli, decidiamo di fare visita alla sede del Comune. Qui avviene di tutto: veniamo rimbalzati in almeno sei uffici diversi, nei quali entriamo in contatto con impiegati dalla disponibilità e competenza dubbia. Le nostre richieste di chiarimento non sono mai soddisfatte, anzi. Ogni nostro dubbio appare irrisolvibile per gli impiegati, i quali, come soluzione ad ogni problema, ci rimandano ad altri uffici confidando nelle competenze dei loro stimati colleghi.
Insomma, nel corso di questa frustrante visita, realizziamo, non senza amarezza, l’impossibilità di agire nel pieno rispetto della legalità e delle regole, perché prima di tutto non è possibile sapere quali siano queste regole e inoltre perché le poche conosciute limitano a tal punto la libertà di agire da far perdere tutto l’interesse per l’affare in questione. Le alternativepossibili ci appaiono dunque solo due: intraprendere l’attività in nero e disinteressarsi delle conseguenze, oppure lasciar perdere. Noi scegliamo la seconda. L’idea non si realizza, il progetto rimane sulla carta e nelle ore di tempo buttate. Questa conclusione ha il sapore della beffa: tre giovani che agiscono attivamente per realizzare un progetto così poco rischioso e così facilmente attuabile, devono desistere e arrendersi dinnanzi a un sistema che deprime l’investimento e incoraggia la fuga. Una sconfitta amara per dei ragazzi, che si traduce in una piccola sconfitta anche per l’Italia. Piccola sicuramente, ma forse il dramma è proprio questo.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Caro Dante,
Ti sembrerà assurdo ma solo questa mattina ho trovato il tempo di leggere con tranquillità la Tua e-mail.
Ti dirò, il titolo mi aveva di molto incuriosito, ma volevo leggere l'articolo in un momento di quiete (questa mattina, appunto).
Sono, queste, tematiche che oramai conosco molto bene.
Ma la cosa più assurda è che ai semafori, nelle spiagge, intorno alle stazioni ferroviarie, etc. troviamo oggi una miriade di persone abusive di cui non conosciamo:
- provenienza, cittadinanza, residenza, cognome e nome;
e che vendono dei prodotti di cui non conosciamo:
- provenienza, salubrità, marcatura CE, azienda produttrice, etc.;
e che acquistiamo SENZA CHIEDERE NULLA (neanche lo scontrino!!!).
Non sono razzista, anzi ..........., ma questa è la dura realtà italiana.
Secondo Te, quale può essere la mia considerazione (e dei protagonisti della Tua storia) verso lo Stato Italiano?
Una cosa è certa: IL MONDO IN CUI VIVIAMO (da quel Settembre 2008) E' CAMBIATO, e se l'Italia non deciderà di mutare pelle al fine di consentire un VERO rilancio dell'economia, la nostra corsa verso il baratro è CERTA.
Ti chiedo scusa per lo sfogo e, soprattutto, Ti invito a dare la più ampia diffusione alla Tua Storia per far comprendere a molti L'ITALIA IN CUI VIVIAMO :-(
Grazie per aver condiviso con me la Tua storia.
A presto.