lunedì 29 dicembre 2014

"Silent night" di Cristina Mosca

Racconto che ha partecipato alla quinta edizione di "Una storia di Natale"  organizzata per Emergency dal festival letterario "Montesilvano scrive"

"Silent night" di Cristina Mosca


L’amante è in attesa, dietro la tenda di lino nella casa provvisoria.  Aspetta lei, che è già in ritardo di qualche minuto e che ha promesso che arriverà. Allargherà il giro prima di raggiungere i suoceri e suo marito alla cena della Vigilia. L’amante non può aspettare in balcone, nessun occhio deve associarli in uno sguardo unito. In quella stanza detta dello Scirocco, l’amante attende con una vibrazione silente l’unica donna capace di fermargli il tempo.Ha appena smesso di piovere; da qualche parte, fuori, l’aria sa di erba bagnata. Lui sa già che lei arriverà senza alzare il mento alla finestra, placcata da un mondo che la vuole nascosta, entrando con finta disinvoltura in quella casa provvisoria, nuda di luci natalizie, celata al quotidiano. Forse porterà un regalo nella borsa.
Questi pochi minuti di ritardo gli sembrano piombo, muti, in fermo immagine, e forse nella realtà non esistono, perché non possono essere raccontati a nessuno.
In quelle ore che passano tra la Vigilia e il Natale, il pescatore ha deciso di prendere il largo, così domani potrà alzare i prezzi. Ora cerca di mantenere il controllo della barca, mentre la pioggia e il mare agitato rendono scivolosi i gesti e senza gravità. Lo disarciona un’onda più dura: per un momento gli sembra di volare, poi sbatte contro il pavimento d’acqua senza ricordarsi di urlare. Il pescatore è solo, intorno è pieno dell’odore del sale. La pioggia ha smesso di prenderlo a schiaffi, ma l’acqua dicembrina è gelata e presto le braccia non gli rispondono più.
Il mare lo tiene al guinzaglio come un dio crudele e assetato, nero di claustrofobia.
Il pescatore è confuso e non sa cosa fare. Galleggia sulla schiena in una pece senza suono, e senza Natale. Ogni tanto uno sciacquio. Il silenzio di salsedine ha una dimensione sola, visto da qui. Il pescatore pianta gli occhi in faccia al buio, per un’ultima volta. È così, dunque – comprende – è così che devo morire.
    Se ha capito bene, questo ragazzo che fondamentalmente gli è straniero gli sta chiedendo di poter prendere in consegna sua figlia e di essere il responsabile principale della sua gioia e del suo dolore.
La formula è appena evaporata nell’aria, come lo zucchero a velo sul pandoro appena tagliato, e tutti, sua figlia compresa, lo stanno guardando col fiato sospeso, quasi temessero un no. C’è una frazione di secondo in cui il silenzio diventa una specie di nebbia. Ma dai amore, davvero vuoi sposarti questo qui?, in effetti vorrebbe dirle. Questo soldo di cacio può essere al limite bravo a reggerti la fronte mentre rimetti Mohito nella tazza del bagno. Davvero hai scelto lui? A questo, ti ho preparato?
Io ti prenderei ancora per mano quando insieme attraversiamo la strada.
Ma alla fine di quella frazione di secondo, in fondo al suo silenzio imparagonabile, il padre trova il coraggio di guardarla negli occhi. Le riconosce la speranza che quella volta lo ha fatto innamorare di sua madre. E si arrende, e risponde semplicemente Ok.
    La condannata è seduta davanti la scrivania del dottore. Guarda il portapenne a forma di Babbo Natale, la renna le fa l’occhiolino. Alcuni anni fa le hanno dato pochi mesi di vita: la pena da scontare per essere capitata, senza prudenza, nel giro della Malattia. La condannata ha ottenuto, nel tempo, faticose indulgenze, grazie alla sua volontà di vivere. Ha ripreso anche l’università. Le diagnosi sono state varie, differenti, la febbre unica compagna fedele, con brevissimi periodi di distrazione. Ci sono stati dei momenti in cui le è sembrato morire; altri in cui lo avrebbe preferito.
Gli ultimi, ennesimi risultati, sono appena arrivati; il dottore le ha chiesto di vedersi subito, anche se è la notte prima di Natale, anche se nelle case, fuori, i bambini invocano già i regali. Un silenzio goffo e impenetrabile pesa nella stanza. È ormai senza scampo? La condannata è giunta alla fine del suo corridoio? È arrivato il momento della sedia elettrica?
Si guardano senza dire niente, lei e il dottore, immobili. Le carte sono sulla scrivania, aperte. Il dottore vi appoggia i gomiti, la condannata non parla, come se la lunghezza della sua vita dipendesse dalla durata di questo silenzio. Il dottore sfoglia un’ultima volta le carte, le vecchie, poi le nuove, poi ancora le vecchie. Prende fiato. La guarda negli occhi. Alla fine dice: Signorina, lei è guarita.

"IL destino non esiste" di Maura Chiulli

Festival letterario "Montesilvano scrive". Racconto vincitore della quinta edizione di "Una storia di Natale"

"Il destino non esiste" di Maura Chiulli

"Adesso è facile è tanto facile
capire cosa c'è e amare quel che c'è
ricominciare a vivere per me con te."
Mina, Adesso è facile.

Aveva dormito poche ore. Un pugno di lana di vetro nella gola. Viveva un’angoscia atrofizzante, un sentimento senza nome, ma totale. Talmente forte da impestare il sonno. Talmente mascherato da
essere indefinibile. Aveva provato a cercare Sara, con la mano aveva sfiorato le lenzuola. Sapeva che in quei momenti, in cui l’abisso prendeva il nome della notte, lei era lì per salvarlo.
"Che succede amore?", la voce di Sara era un filo teso tra le loro bocche.
"Non lo so."
"Un incubo?"
"No, non posso respirare. Aiutami, sto morendo. Non ho sognato niente! Ho un nodo alla gola."
"Respira con me, ascoltami. Metti una mano sul mio petto e segui me…"
"Aiutami..."
"Segui me, piano, inspira ed espira. Piano. Piano".
Era come se Sara sapesse il nome di quel sentimento ladro. Era come se lei lo avesse già visto da qualche parte. Era come se lei, quella guerra di rabbia e di colpe, l’avesse già vinta una volta. Luca si sentiva gettato nudo in un campo di battaglia. Era spaventato, immobile da mesi, al centro di se stesso, con il cuore tra le mani, proprio quando pensava di aver fatto il possibile per guadagnarsi una vita felice. Se n’era andato di casa alla disperata ricerca di una vita, che prevedesse isolamento e libertà, solitudine e condivisione. Aveva superato il primo Natale da orfano e da assassino. Era così che si era sentito, quando aveva comunicato la sua decisione a sua madre e a suo padre. Ucciderli simbolicamente per venire al mondo: Luca aveva dovuto rinunciare a quel legame morboso e paralizzante, aveva imbracciato la colpa, il bisogno e il tormento e si era incamminato alla ricerca di un posto che avesse solo il suo nome. Il primo anno da solo era filato liscio, ma nei mesi, quel gesto così naturale, che prevedeva l’indipendenza e l’emancipazione, si era rivelato una specie di bomba carta con i chiodi, un ordigno rudimentale, che aveva ferito tutti a morte. La madre di sicuro non ce l’avrebbe fatta.
Luca aveva sempre odiato le feste, le domeniche, le cene e i parenti. La segreta casalinga l’aveva privato di ogni desiderio negli anni e lui si era replicato, aveva agito così come si doveva, senza mai opporre resistenza, per almeno un ventennio. Aveva accettato e rinunciato, perché l’odio silenzioso gli era sempre sembrato più sopportabile del senso di colpa. Il Natale, per lui, era solo una gettata di oro su un massetto di merda, ferro e cemento, una specie di momento lungo in cui ciascuno poteva costruirsi la sua casa comoda sulle macerie della sua stessa vita. E la messa obbligatoria della vigilia, quella veglia nell’abito buono seduto tra mamma e papà, quell’attesa snervata e silenziosa davanti a una culla ricoperta di fieno, era quanto di più raccapricciante e kitsch si dovesse fare ogni anno. Una di quelle consuetudini casalinghe che nemmeno la febbre poteva risparmiargli. Un colossale momento di vergogna, in cui a Luca non era permesso neppure scegliersi i vestiti. Per anni lo avevano conciato come un coglione: una specie di paggetto, che raccontasse al paese da che brava famiglia arrivava e agli amici che incapace che era. Lo avevano quasi ammazzato in nome del loro bisogno e Luca, per anni, aveva sacrificato se stesso, mostrando anche un sorprendente attaccamento a quel male travestito da bene. C’era un godimento in quella castrazione, che in nessun modo riusciva a scacciare. Una specie di pena che sentiva di meritare. Eppure Sara gli aveva raccontato una possibilità: era arrivata per restare e per dire, senza parole, che non è giusto accontentarsi del poco amore che si pensa di meritare, che non è giusto uccidersi per proteggere qualcun altro. Che addormentare la colpa con l’odio, uccide solo più lentamente. Che la scelta, il fallimento e il limite sono le esperienze migliori cui possiamo costringerci. Il loro rapporto aveva implicato una separazione: Luca aveva dovuto riconsegnare gli abiti del figlio. Gli era piaciuto, prima che arrivasse l'odio. Dopo una manciata di mesi di "non posso" difficili alla madre, di "ci penso io a me" gratificanti al padre, Luca incontrò la colpa. Fu una specie di uragano, che investì tutta la sua esistenza, Sara compresa. Gli incubi puntellavano le notti, che gli crollavano addosso. C'erano voci e ricordi confusi, c'erano le sue rese di bambino, le sue intere giornate consacrate a una famiglia chiusa a chiave intorno a suo figlio. E c'erano una madre e un padre, che aspettavano un ritorno, una nuova rinuncia. Il fiato si consumava, come una miccia, ma era in quell’anticamera di un’esplosione, che si annidava una monumentale esistenza libera. L’estate si gettò nel mare di foglie che disegnava l’autunno. Niente era fermo e Luca correva verso se stesso con una determinazione che non conosceva. Sara gli stava accanto, attenta solo a realizzare la sua di esistenza. E più pensava a se stessa, più c’era, più Luca la sentiva vicina. Forse l’amore non è altro che la parafrasi di un riconoscimento. Sara fu uno specchio, nel quale Luca finalmente poté scoprire i suoi desideri, uscire dal paradosso autistico del suo godimento del male e intuire che esisteva un intero universo bianco da conquistare. Il panico iniziò ad allentare la morsa e le notti si fecero sempre meno spaventose. L’angoscia, che Luca provava ogni volta che si sentiva ingoiato dal bisogno cannibale della sua famiglia, fece spazio al desiderio. Finalmente si sentiva padrone di una vita, che sceglieva di condividere con Sara. Non c’era laccio, non c’era dovere, non c’era fusione, non c’era necessità. Ogni cosa era agita con volontà. Forse l’amore non è altro che il fallimento di un’identificazione. Sara restò la donna libera e in mille pezzi che era e Luca lottò per difendere tutti gli uomini che scoprì di essere, anche i più abietti ed egoisti.  
L’inverno arrivò in fretta, per sorprenderli. C’erano loro due, le loro vite in costruzione e c’era un altro Natale e il desiderio nuovo di condividere quell’attesa, quella festa, che non li costringeva più a nulla, se non ai loro sogni. La madre di Luca era sopravvissuta e niente era finito in catastrofe. Il fallimento e la ricostruzione, la separazione e la colpa. Il bisogno e la speranza. Ogni estremo si era avvicendato con rabbia e Luca si era strappato la pelle pur di incontrarsi. Forse l’amore è quando ci sono le parole per dire che il destino non esiste, che vale la pena di liberare le radici di ogni pezzo di noi e che il dolore che proviamo a scavare dentro il petto a mani nude non ucciderà. Forse l’amore è un segno, una parola, un riconoscimento, un attimo eterno e pericoloso nel quale la solitudine è una splendida promessa di libertà.


© Maura Chiulli - Natale 2014.

lunedì 22 dicembre 2014

"Una lacrima color turchese" di Mauro Corona

Significato della parola Natale. "Natale è giorno di nascita. È origine, festeggiamento, calore, compartecipazione. Il natale di qualcuno dice chi è, da dove viene. E sia che si consideri il Natale cristiano, o il Dies Sol Invictus, o chissà quale altro natale, per questo è bello farsi gli auguri. Perché ogni nascita è un augurio. A noi scegliere che cosa debba nascere."

Da qualche anno per molte persone non è più così, perché? Sì, perché ormai al Natale Cristiano, Cattolico si è sostituito sempre più il Natale "pagano", il Natale commerciale fatto prevalentemente di: addobbi, corsa sfrenata ai regali, pranzi e cenoni vari. Il Natale del consumismo e nulla più. In questo clima che mi circonda mi ha colpito ancor di più il libro appena letto di Mauro Corona "Una lacrima color turchese" che narra una storia ambientata ai nostri giorni con un protagonista d'eccezione (protagonista che però è assente…): Gesù Bambino

"…Il giorno di Natale, in uno sperduto paesino di montagna sommerso come ogni anno da una fitta coltre di neve, accade un fatto sconvolgente: mentre la gente si dispone a mettere da parte i rancori cercando di essere più buona almeno per le festività natalizie, le statuine di Gesù Bambino scompaiono misteriosamente da tutti i presepi…"

Un libro, una storia e questo periodo natalizio mi hanno portato a fare delle riflessioni personali. Non ho più un'età dove le cose materiali, i regali hanno un peso importante. Vivo un'età, un periodo maturo della mia Vita, dove sono importanti i rapporti umani, le Persone, il mio prossimo. Quando parliamo di "prossimo" non dobbiamo pensare solo ai più bisognosi in senso materiale, ma possono essere le Persone che ci circondano che, magari in silenzio stanno vivendo un periodo di difficoltà: l'amico/a che non sentiamo o vediamo da un po' di tempo…magari pensiamo che sia tutto "ok" invece

A tal proposito è bene tenere a mente per tutto l'anno neon solo durante le festività natalizie il messaggio di Papa Francesco sulle "15 malattie" che affliggono la nostra umanità che di seguito riporto



Ecco l'augurio che faccio a me stesso e tutti voi, è quello di far durare lo "spirito natalizio" per tutti i giorni dell'anno, tendendo la mano, lo sguardo, una telefonata, un messaggio verso il nostro prossimo…Buon Natale e buona lettura

"Finita la funzione, i fedeli uscirono sul sagrato invaso dalla neve. Cominciò così la ronda delle strette di mano e degli auguri e dei sorrisi compiaciuti. Il tutto condito dai "Buon Natale" di circostanza che fiorivano su bocche contorte da un'ipocrisia così palese che cadeva in basso, forando la neve come fiocchi di piombo. Dall'interno della chiesa, attraverso le porte aperte, Il Bambino Gesù osservava. Se qualcuno fosse entrato per adorarlo, si sarebbe accorto che quel piccolo non rideva."

Scheda del libro
"UNA LACRIMA COLOR TURCHESE"Il giorno di Natale, in uno sperduto paesino di montagna sommerso come ogni anno da una fitta coltre di neve, accade un fatto sconvolgente: mentre la gente si dispone a mettere da parte i rancori, cercando di essere più buona almeno per le festività, le statuine di Gesù Bambino scompaiono misteriosamente da tutti i presepi. Le prime ad accorgersene sono tre madri di famiglia che, indignate, accusano i figli del furto. Quando però si sparge la voce che l'inquietante fatto non ha colpito solo quel borgo ma addirittura il mondo intero, la rabbia cede il posto al panico. Cosa può nascondersi dietro a un evento così assurdo e angosciante? L'umanità ha disperatamente bisogno di risposte. Teologi e satanisti, esperti e millantatori si lanciano in teorie e ipotesi. Non si arrendono di fronte a nulla, l'importante è individuare un colpevole. Ma la ricerca sembra essere destinata a non avere fine. Eppure basterebbe sottrarsi alla frenesia e riflettere per un momento in silenzio per rendersi conto che quel mistero ci coinvolge tutti. Se solo avessimo il coraggio di guardare dentro ai nostri cuori e interrogare le nostre coscienze...

L'autore
"MAURO CORONA" è nato a Erto (Pordenone) nel 1950.
È autore di Il volo della martoraLe voci del bosco, Finché il cuculo cantaGocce di resinaLa montagnaNel legno e nella pietraAspro e dolceL'ombra del bastoneVajont: quelli del dopoI fantasmi di pietraCani, camosci, cuculi (e un corvo)Storia di Neve, Il canto delle manére,La fine del mondo storto (premio Bancarella 2011), La ballata della donna ertanaCome sasso nella correnteVenti racconti allegri e uno triste,Guida poco che devi bere: manuale a uso dei giovani per imparare a bere, delle raccolte di fiabe Storie del bosco antico e Torneranno le quattro stagioni, tutti editi da Mondadori, e di La casa dei sette ponti (Feltrinelli 2012) eConfessioni ultime (Chiarelettere 2013).

mercoledì 17 dicembre 2014

Il profumo delle rose

Due monaci coltivavano rose. Il primo si perdeva nella contemplazione della bellezza e del profumo delle sue rose.
Il secondo tagliava le rose più belle e le donava ai passanti. "Ma che fai?", lo rimproverava il primo; "come puoi privarti così della gioia e del profumo delle tue rose?"
"Le rose lasciano molto profumo sulle mani di chi le regala!", rispose pacatamente il secondo.

Molte volte siamo preoccupati così tanto di possedere le cose da dimenticarci a cosa servono e perché le abbiamo desiderate.

giovedì 11 dicembre 2014

11.12.1994…20 anni senza di te…Ciao Davide

Davide Di Fabrizio (foto nov.1990)
Carissimo Davide,

Sono passati 20 anni da quella terribile domenica dell’11 dicembre 1994, quando un tragico incidente d’auto ti ha strappato da questa vita terrena per condurti nella Casa del Padre. Sono passati 20 anni ma ho ancora nel cuore e nelle orecchie la telefonata ricevuta dall’amico Carlo che mi ha catapultato in un’altra dimensione. Già perché all’epoca avevamo poco più di 20 anni, e la parola “morte” non faceva parte del nostro vocabolario.

Lo sappiamo, lo diciamo tante volte, la vita è un “passaggio” e prima o poi verrà il giorno in cui saremo “chiamati” dal Padre che è nei Cieli. Solo la Fede aiuta chi resta ad accettare il dolore per la scomparsa, nel tuo caso una prematura scomparsa, nella certezza di una Vita Eterna.

Ma oggi, dopo 20 anni voglio ricordarti in un modo speciale, forse un po’ troppo personale, perché in tutti questi anni hai accompagnato la mia vita. Tu ed io siamo praticamente coetanei (tu un anno più grande) ed abbiamo vissuto insieme gran parte delle esperienze della nostra vita: la giovinezza a Penne, la vita parrocchiale, l’Azione Cattolica , la passione per per il basket, l’Arma dei Carabinieri.

Tanti sono i ricordi che conservo nel mio cuore e, soprattutto nel mese di dicembre riaffiorano… Ogni anno, in questi giorni, rileggo il libro “Il seme fiorisce” che i tuoi genitori hanno realizzato per te.  

Sono passati 20 anni caro Davide e tante cose sono cambiate nella mia vita: matrimonio, figli, esperienze di vita; ed ogni volta la mia domanda era sempre la stessa: “E se c’era Davide?” Oppure: “Chi sarebbe stata tua moglie? I tuoi figli? Dove vivresti oggi?”, “Come sarebbe maturata la nostra Amicizia?”.

Il lavoro ci avrebbe portato a vivere in luoghi diversi, ma saremmo rimasti sempre in contatto, ci saremmo rivisti di tanto in tanto, in base ai vari impegni. Magari saremmo rimasti in contatto anche  su Facebook ….

Sono passati 20 anni, ma non nei nostri cuori… 

Un abbraccio
Dante


Penne, 11 dicembre 2014

lunedì 8 dicembre 2014

"7 cose da ricordare quando ti senti bloccato/a" di Lucia Giovannini

Lucia Giovannini
A volte capita di sentirci bloccati, di non sapere che strada prendere nella nebbia dell’indecisione tanto che diciamo “non so cosa fare”. In realtà, ci sono tante cose che possiamo fare per superare questi momenti che, prima o poi, capitano a tutti.
Abbiamo sempre il potere di andare avanti, non importa quali siano gli ostacoli che troviamo lungo il nostro cammino. In ogni momento, possiamo sempre scegliere cosa pensare e cosa fare.
Ogni giorno è nuovo e unico e porta con sè la possibilità di farci diventare chi vogliamo essere!

Ecco 7 cose da ricordare quando ti senti bloccata/o!

1. Sentirsi bloccata/o è una sensazione, non una realtà

Quando cambi il modo di vedere le cose, cambia il mondo intorno a te. Sentirsi bloccata/o è una sensazione, non una realtà. Come decidi di vivere la tua vita, è una tua responsabilità. Magari stai aspettando la risposta per un lavoro o un trasferimento e questa tarda ad arrivare. Su questo non hai alcun controllo, ma puoi decidere come reagire nel frattempo! In che modo pre-occuparti, ovvero occuparti di qualcosa prima che accada, ti aiuta a vivere serenamente?

2. Il passato è passato

A volte desideriamo andare oltre determinate situazioni, ma rimaniamo con un piede nel passato. Ciò che è stato, è stato, non può essere cambiato. Ma puoi decidere di perdonare qualcosa o qualcuno che ti ha fatto del male e guardare avanti. Lasciare andare persone o situazioni che sono un ostacolo alla tua evoluzione ti libererà dalle catene che ti sei messa/o addosso (sì, proprio tu!). Quando lascerai andare il dolore del rimpianto, del rimorso e della frustrazione ti accorgerai di una nuova luce e di una nuova energia, proprio quella che ti serve per aprirti al nuovo.

3. Sentirsi bloccati è segno che è necessario un cambiamento

La vita ci invia sempre dei messaggi, in ogni momento. Quando ci sentiamo bloccati, la vita ci sta invitando a un cambiamento, perché le situazioni che abbiamo vissuto fino a quel momento, non vanno più bene per noi. Come scrivo in Mi Merito il Meglio, la vita ogni tanto ha bisogno di spingerci per guidarci. Una pianta man mano che cresce va travasata. Quando travasiamo le nostre piante in casa non abbiamo dubbi. Sappiamo che se non togliamo la pianta dal vaso che ormai è diventato troppo piccolo non riceverà più nutrimento per crescere, prima deperirà poi morirà. Mentre se la travaseremo crescerà forte e robusta. A volte anche la vita (o Dio) ci trapianta, ci toglie da vecchie relazioni, vecchi lavori e lo fa senza dubbi, perché sa che ci serve nuova terra, un vaso più grande. Perché abbiamo paura di rimanere senza vaso?

4. Dici che non sai la risposta…ma sei sicura/o che la domande sia corretta?

Quante volte ci preoccupiamo di non avere le risposte giuste senza chiederci se le domande che ci stiamo facendo siano corrette? Una delle domande da farsi quando siamo confusi e in preda agli eventi è “Cosa sta succedendo per me?”ovvero “In che modo questa situazione mi serve per la mia evoluzione?”. Porsi questa domanda ti aiuta a uscire dal vittimismo e dall’autocommiserazione, superare i tuoi limiti e ritrovare la strada. Un’altra domanda molto potente è “Che cosa farei se non avessi paura?”. La paura ci porta a inventare scuse che ci allontanano da quello che è più giusto per la nostra evoluzione. Aspettiamo che qualcosa di magico accada per farci uscire dalla situazione di stallo, quando invece gli unici che abbiamo la bacchetta magica siamo noi!

5. Non è semplice, ma ne vale la pena

Ci vuole molto coraggio per ammettere a noi stessi che qualcosa non va e deve essere cambiato e ce ne vuole ancora di più per prendersi la responsabilità di attuare questo cambiamento. Il cambiamento, se ci pensate, è la cosa più naturale del mondo. La vita è un continuo cambiamento! È più doloroso restare in una situazione che non ci appartiene che lasciarla per imboccare la strada che ci indica il cuore.

6. Segui il tuo intuito e sii te stessa/o

Lascia perdere le opinioni e i condizionamenti degli altri, segui il tuo intuito, l’unico che sa sempre quello che è giusto per te. La libertà è soprattutto quella della mente. Siamo tutti perfetti nelle nostre imperfezioni, nessuno escluso. Quando siamo liberi di essere noi stessi, ci apriamo all’amore e alla comprensione. Mostrarsi vulnerabili è un segno di grande forza. Vuol dire che nessun giudizio proveniente dagli altri sarà in grado di influenzarci e saremo invincibili!

7. Liberati dalle aspettative

Le aspettative sono proprio quelle che ci schiacciano tra passato e futuro e ci impediscono di vivere il presente, l’unico momento che esiste e in cui possiamo prendere delle decisioni. Le aspettative provocano ansia e agitazione, inducono attaccamenti eccessivi al risultato e ci fanno dire: Sarò felice solo quando…ricorda che “la vita è un viaggio, non una destinazione!” (Ralph Waldo Emerson).
(Liberamente adattato da Life Hacker)